Premessa: quel che segue, chi sta scrivendo, l’avrebbe detto anche se il contesto fosse stato diverso. L’avrebbe annotato, registrato, pure contestato anche se si fosse trattato di un appoggio (giustissimo) a favore dell’Ucraina invasa da Putin o di un proclama (sacrosanto) di indignazione contro il barbaro trattamento riservato alle donne afgane da parte dei talebani. Di più, chi scrive si sarebbe scandalizzata persino se il moto di sdegno fosse stato al contrario: cioè se le aule dei tribunali, i convegni dei magistrati e persino le udienze che non c’entrano un piffero con quel che sta accadendo a Gaza si fossero riempiti di (legittime) richieste ad Hamas di sgomberare la Striscia o di rilasciare gli ostaggi e, quindi, avessero invocato una sostanziale ragione da parte di Israele. Ovviamente non è andata
così (e ci arriviamo subito), ma chiaramente il punto è un altro: è che la giustizia è terza e imparziale, oppure non è. Da qualche giorno circola tra i fori di mezza Italia un “appello dei giuristi per Gaza”. È, né più né meno, il corrispettivo forense delle piazze propal: sul sito di Giustiziainsieme risulta che le adesioni abbiano superato le 1.300, a promuovere l’iniziativa sono stati due magistrati di Bologna (la giudice Valeria Bolici e il pm Marco Imperato) e l’obiettivo dichiarato è quello di coinvolgere quanti più colleghi possibili. La strada scelta è di per sè abbastanza singolare: il testo, sì, ricalca il preambolo dello statuto della Corte penale internazionale («È dovere di ciascuno Stato esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti dei responsabili di crimini internazionali»), ma è correlato dall’invito a leggerlo ogni dì, pubblicamente, nelle aule dove avvengono i processi, come incipit della seduta da trattare, anche se questa non ha niente a che fare con lo scenario mediorientale e riguarda invece, vai a vedere, un presunto ladro di polli o un vicino di casa molesto che tiene la tivù accesa di notte. Non a caso l’appello finisce con la chiosa: «Procediamo alla trattazione dell’odierna udienza».
Amen e così sia. Di rituale, di processuale, qui, non c’è nulla. Ma c’è il consiglio nazionale di Magistratura democratica che, questa settimana, come riporta Il Riformista, ha investito i propri rappresentanti nell’Anm, l’Associazione nazionale magistrati, di un mandato per promuovere azioni di condanna sulla guerra tra Gerusalemme e i tagliagole di quell’organizzazione terroristica che è Hamas: e tra le ipotesi avanzate si fa riferimento anche alla lettura di comunicati del genere (tra l’altro Magistratura democratica e Area democratica per la giustizia hanno indetto un convegno per mercoledì prossimo, nel capoluogo lombardo, dal titolo “Gaza, l’umiliazione del diritto”, cui parteciperà anche la special rapporteur dell’Onu Francesca Albanese: servisse a inquadrare meglio la questione). Alcuni uffici (per esempio al palazzo di giustizia di Milano) hanno già affisso fuori dalla porta, in formato A4, l’estratto dello statuto della Cpi, le sezioni locali dell’Anm (ancora una volta come quella milanese) hanno già redatto un comunicato di qualche riga di «profondo sgomento per la sistematica violazione dei diritti attuato dallo Stato di Israele» e qualche avvocato si è già trovato davanti un giudice che, prima ancora di aprire il codice civile, ha aperto bocca per dissertare sul “genocidio palestinese” anche se la causa che doveva trattare riguardava tutt’altro.
Dato che noi a Libero consideriamo una sciocchezza quella di non poter commentare le sentenze, figuriamoci se ci esimiamo dal commentare trovate come queste che non risolvono un accidenti sulla crisi in Medioriente e, invece, sollevano dubbi a casa nostra. Fermo restando che ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni, ma l’imparzialità della magistratura, a questo punto, dov’è finita? Un eventuale imputato, o parte lesa, di religione ebraica o di origini israeliane, entrando in tribunale per avere giustizia e sentendo come benvenuto la lezioncina a senso unico sul conflitto di Gaza come deve sentirsi? Potrà credere di ricevere (od ottenere) un giudizio neutrale e obiettivo? E poi, perché il diritto internazionale, il regolamento della Cpi, la strenua difesa dei valori giuridici sovranazionali vengono sbandierati e ricordati oggi per Rafah e Jabalia e non sono mai stati invocati per le atrocità che colpiscono il Sudan o che hanno colpito la Siria (son solo esempi)? Potremmo andare avanti con domande di questo tenore fino all’ultima pagina di questo giornale, ma forse non ne vale nemmeno la pena.