L’adunanza del 29 ottobre, quella che ha preceduto la “bocciatura” del Ponte sullo Stretto, è classificata come pubblica ed è stata registrata, ma la Corte dei conti non intende rendere pubblica la registrazione. È l’ennesima anomalia, forse la più grande, del confronto che ha preceduto la decisione sul Ponte sullo Stretto. Tecnicamente sarebbe semplicissimo: mettere un link sul sito è un lavoro di pochi minuti. Come fa il parlamento con le proprie sedute, e come ha fatto la stessa magistratura contabile in altre occasioni. La recente udienza sul giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Calabria è lì, chiunque può vederla; per l’adunanza più importante degli ultimi anni, storia diversa: è pubblica in teoria, secretata di fatto. In quella riunione i funzionari dei ministeri responsabili sono stati sottoposti alle contestazioni dei magistrati contabili. Al termine si è svolta la camera di consiglio che ha negato il visto di legittimità alla delibera relativa all’opera. Il giorno dopo, in una nota, la Corte ha risposto alle critiche del governo assicurando di avere deliberato «su profili strettamente giuridici (...) senza alcun tipo di valutazione sull’opportunità e sul merito».
Gli esperti ministeriali che hanno partecipato all’adunanza, e che Libero ha potuto interpellare, riferiscono invece che essa ha espresso giudizi sul merito e sull’opportunità del progetto, invadendo così il ruolo del legislatore e violando i confini che le assegna la Costituzione. Per fare chiarezza, ieri questo giornale ha chiesto alla Corte che quella registrazione sia resa visibile sul sito, o comunque sia possibile prenderne visione. La seduta era pubblica, i magistrati si dicono convinti della correttezza del loro operato: non c’è motivo per cui essa non possa essere messa a disposizione. La risposta è stata negativa. La spiegazione è che la Corte «ha assolto a ogni esigenza di pubblicità con l’adunanza pubblica del 29 ottobre scorso, favorendo naturalmente l’accesso di tutti i cittadini e giornalisti presentatisi, interessati a vario titolo». Tutto ciò che dovevano fare in nome della trasparenza, insomma, lo hanno fatto quel giorno.
Una scelta singolare. Anche perché lì di giornalisti ce n’erano pochissimi e scarsamente interessati al confronto, che pure in certi momenti è stato animato, tra gli esperti dei ministeri e i magistrati. Nessuna agenzia di stampa – il primo anello della catena d’informazione – ha prodotto, infatti, un resoconto minimamente accurato di quella discussione. L’agenzia principale, l’Ansa, nell’attesa che uscisse il verdetto, si è limitata a scrivere che «le eccezioni sollevate durante l’adunanza della Sezione centrale della Corte dal consigliere, Carmela Mirabella - secondo quanto si apprende- sarebbero state diverse: tra queste anche quella sulla competenza del Cipess, considerato organo “politico”».
Poco più di nulla, quindi. E la formula «secondo quanto si apprende» è usata dai giornalisti quando non ci sono elementi pubblici o ufficiali cui attingere e bisogna procurarsi le notizie tramite colloqui confidenziali con le fonti. Nessun comunicato della Corte, del resto, annunciava che l’adunanza sarebbe stata pubblica.
Resta così sospesa sul vuoto l’affermazione della Corte secondo cui essa si sarebbe limitata a dare un giudizio di legittimità. Ovvero a valutare se la delibera sia stata varata dal Cipess, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, nel rispetto delle norme: un compito in cui non deve entrare alcuna considerazione sull’opportunità politica o il merito dell’operazione.
I funzionari dei ministeri con cui Libero ha parlato hanno raccontato che diverse toghe presenti, anziché porre domande, hanno fatto arringhe contro il Ponte, opera «mastodontica» il cui costo ricadrà «sui nostri figli», hanno contestato la scelta del governo di costruirlo a un’unica campata e di catalogarlo come superstrada anziché come autostrada (questioni che nulla hanno che vedere con la legittimità dell’atto). E quando hanno posto quesiti, lo hanno fatto per cercare cavilli in ogni aspetto della procedura, incluso l’invio della documentazione in formato digitale, nonostante esso sia stato fatto a norma di legge. L’unico atto pubblico della Corte sarà la delibera che, entro fine mese, illustrerà le motivazioni della decisione. Ma questa mostrerà il risultato, non il modo in cui hanno lavorato i magistrati. Il solo documento che può fare luce su questo aspetto fondamentale resterà inaccessibile, chiuso nei cassetti digitali del palazzone di viale Mazzini.