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Il 90% degli italianipronto a rinunciare alla propria Provincia

Ecco il sacrificio che vorrebbero fare i nostri lettori e pagare meno tasse: il taglio degli enti locali vale 5 mld. C'è riuscita anche la Grecia
di Lucia Esposito sabato 30 giugno 2012

3' di lettura

Urge vaporizzarle. Ieri il sito di Libero, al sondaggio «Siete disposti a rinunciare alla vostra Provincia per far quadrare i conti?» è stato letteralmente bombardato con un 92% di “sì” e un 8% di “no” (probabilmente un 8% costituito dei dipendenti delle province d’Italia sdraiati sul mouse a cliccare come pazzi); e di colpo il quadro è diventato chiaro. Cristallino. Quando si tratta d’estrarre il portafoglio, gl’italiani, del fiero campanilismo, dello Strapaese e «dell’antica rivalità tra Arezzo e Firenze sin dalla battaglia di Anghiari sei secoli fa...» ( ricorda il Corriere della sera), be’, di tutto questo alla fine, se ne fottono. La spending review finalmente ha avuto un sussulto d’orgoglio. E via via cancellerà le Province che non rispettano due dei tre criteri: popolazione di almeno 350mila abitanti, 50 comuni sul territorio e più di 3mila kmq d’estensione. Il governo è pronto, vivaddio, a spazzare via la metà delle Province italiane. E 44 delle 86 delle regioni a statuto ordinario, come riporta Il Sole 24 ore, potrebbero sparire per l’impossibilità di rispettare due dei suddetti tre criteri  tecnici. Vecchia battaglia di Libero. Naturalmente quasi tutti gli amministratori si oppongono: con diffidenza i tacchini accettano l’invito al pranzo di Natale. Per certi versi è comprensibile. Da Lodi a Rimini Lodi ci aveva messo qualche secolo per affrancarsi da Milano, ora torna al punto di partenza; Rimini si stava appena godendo l’indipendenza culturale da Forlì che gli si prospetta -se va bene - almeno la riunificazione in una “grande Provincia della Romagna”; Vercelli, Asti, Biella, Verbano-Cusio-Ossola saranno cancellate tout court senza rendersene conto; Benevento è già choccata dall’accorpamento con Avellino; la Bat pugliese, dopo pochi anni, tornerà ad essere soltanto un prefisso da fumetti di supereroi (la bat-mobile, la bat-caverna...). Poi c’è  la Sardegna, non compresa nel calcolo del governo. Che, però, grazie al referendum “anticasta” spinto dal governatore Cappellacci s’è espressa per il machete su privilegi e sprechi degli enti; e per la cancellazione delle Province del Medio Campidano, Carbonia-Iglesias, Ogliastra e Olbia-Tempio, e per l’abolizione delle storiche di Cagliari, Oristano, Nuoro e Sassari. Sarà, insomma, una superba ecatombe burocratica.  Crolleranno tutti i campanili, alla prospettiva che almeno 5 miliardi di euro (almeno!) si potranno far risparmiare agli italiani che già tremavano alla prospettiva d’un punto di Iva in più. Certo, davanti al nostro sondaggio c’è pure chi offre alternative.  Lo studio lombardo Guido Podestà, presidente della Provincia di Milano, che commissionò uno studio della Bocconi sulla possibilità di abolire 4500 inutili enti intermedi invece dei propri uffici, sostiene la necessità di «riformare il sistema intermedio di governo: tagliare enti parco,  consorzi, uffici periferici, agenzie regionali che spuntano come funghi, oltre agli statuti speciali delle Regioni, alcune delle quali devono essere accorpate». Per Podestà il risparmio sarebbe anche qui di 5 miliardi secchi: «50% dalla riduzione del numero delle Province, 50% dal miglioramento dell’efficienza delle Province, 2,5 miliardi dal riordino degli uffici periferici statali, 1,5 miliardi dall’abolizione di enti e agenzie strumentali». Tagli non lineari che vogliono trasformarsi in proposta di legge da parte dell’Upi ( vagliata -parrebbe- da Passera e Napolitano). Eppure servono davvero le Province?  Perfino in Grecia, coi casini che hanno, sono riusciti a ridurre questi enti solidamente inutili pure lì, da 57 a 13; e hanno assottigliato la grande pancia dei Comuni diminuendoli da 1034 a 325. In Italia i politici hanno sempre ignorato l’insopprimibile esigenza dei cittadini di pagare meno tasse, e chissennefrega dei campanili. Ma da domani le cose potrebbero davvero cambiare (ovvio: finché non vedo non credo...).

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