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Luigi Di Maio, alla Farnesina decidono tutto gli altri: la voce che trapela dal ministero

di Maria Pezzi domenica 22 settembre 2019

4' di lettura

In Italia arriva Macron e il nostro nuovo ministro degli Esteri viene fatto accomodare nello stanzino delle scope. È una forzatura, ma poco ci manca. Mentre Mattarella e Conte incontravano il presidente francese, Luigi Di Maio era impegnato in un bilaterale con la Raggi, la sua pupilla. Siccome la sindaca ha ridotto la Capitale come Addis Abeba, ci sta che Virginia ne discuta le sorti con il responsabile della Farnesina. I dietrologi sostengono che il Quirinale e Palazzo Chigi volessero risparmiare all' Eliseo l' incontro con l' unico gilet giallo italiano insieme a Di Battista, ma più plausibilmente Gigino non ha ancora raggiunto un livello decente nel corso di inglese a fascicoli che ha intrapreso appena nominato ministro. In ogni caso, meglio evitare la figuraccia, e buttarla sull' ironia. Intendiamoci, non che la presenza del responsabile della Farnesina fosse richiesta dal protocollo in circostanze simili; tutt' altro, però se il governo avesse avuto qualcuno di presentabile, lo avrebbe esibito. Comunque Luigino avrà presto di che consolarsi: lunedì parte per gli Stati Uniti, per andare all' Onu, dove incontrerà numerosi leader del Terzo Mondo con i quali ha molto in comune e si troverà benissimo. Piazzare Di Maio alla Farnesina per Conte, Zingaretti e Renzi è stato come avere la moglie ubriaca mantenendo la botte piena. L' uomo, che fino all' ultimo ha fatto i capricci, minacciando di non far partire il governo se non gli veniva assicurata una poltrona nobile, è stato risarcito del declassamento da vicepremier con un incarico di prestigio, ma la politica gliela faranno vedere con il binocolo. Ci pensa Giuseppi - Il rapporto con l' Europa lo gestirà Conte, che ha imposto a M5S di sostenere la Commissaria Von der Leyen ed è fra i cicisbei preferiti della Merkel, nonché il prototipo del politico italiano di sinistra, che non ha mai avuto da dire con Macron per i nostri affari in Libia né per come il presidente francese ha scaricato ogni problema d' immigrazione sull' Italia. Dove non arriverà il premier, ci penserà Gentiloni, fresco di nomina Ue agli Affari Economici, ben più apprezzato e conosciuto all' estero dell'(ex) capo grillino. Anche con Trump e gli Usa, «Giuseppi», come lo ha ribattezzato l' inquilino della Casa Bianca, non farà toccare palla a Gigi. Sull' immigrazione, comanda la ex prefetta Lamorgese, attuale successore di Salvini al Viminale, e pure qui Di Maio volterà il capino. Gli restano i cinesi, con i quali l' ex vicepremier pentastellato ha intessuto buoni rapporti, ma sono gente pratica e ci impiegheranno poco a capire che dovranno trovarsi interlocutori più affidabili. Insomma della Farnesina il nostro non sa che farsene, tant' è che l' ha trasformata in succursale della Casaleggio Associati e ci tiene le riunioni con i grillini, anziché con i diplomatici. Sarebbe sbagliato però pensare che nel suo nuovo non ruolo il ministro si troverà male. Per lui conta la poltrona, se poi altri gli sbrigano le pratiche, tanto meglio. Quand' era responsabile del Lavoro aveva oltre 150 tavoli di crisi aziendali aperti e non ne è venuto a capo di mezzo; se avesse trovato chi glieli chiudeva al suo posto, sarebbe stato felice di portargli la valigia, purché gli lasciassero fare la conferenza stampa finale. Il gran incassatore - Di Maio ha una dote, è un incassatore sublime. Non si scompone, le critiche lo trapassano, passa sopra ad attacchi che non salterebbe un cavallo. Un po' perché ha nervi d' acciaio e faccia di altro materiale non preziosissimo. Molto perché non gliene frega niente. Come leader di partito ha portato i grillini dal 34% al 16 senza mostrare segni di turbamento. In tv ripete la lezione a memoria alla perfezione, tranne per qualche congiuntivo che non riesce a rimanergli in testa. La Lega ha mangiato ai grillini metà dei consensi, ma se fosse stato per Di Maio, egli avrebbe fatto il premier di un governo salviniano, fregandosene del fatto che poi M5S sarebbe finito sotto il 10%. L' unico momento in cui Gigino è sembrato vivo è quando è scoppiata la crisi: seguiva dai banchi del governo i discorsi degli altri rigido come uno stoccafisso, tesissimo, visibilmente sofferente non perché ignorava cosa ne sarebbe stato dell' esecutivo, bensì in quanto inconsapevole della propria sorte. Quando gli hanno dato la poltrona, si è acquietato ed è tornato a parlare come un automa. Senza scomporsi, senza mezza idea, senza una prospettiva che vada oltre al proprio destino personale. Siccome per lui una poltrona vale l' altra, quella degli Esteri è forse la più indicata: nel mondo già contiamo poco o nulla, quindi più di tanti danni Luigino non può fare. Di Maio è un bicchiere vuoto, dove lo metti sta; che sia Grillo, Salvini o il Pd a riempirlo, per lui conta solo poter andare in giro a parlare del nulla. Nel Palazzo è pieno di gente così, solo che negli altri partiti non fanno i capi. Ma dentro M5S funziona tutto a rovescio, altrimenti l' erede naturale dei sottopanza diccì non sarebbe mai diventato il leader di un partito anti-casta. di Pietro Senaldi

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