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Aurora, l'Inps intasca i soldi dell'indennizzo della bimba rimasta in sedia a rotelle dal 2013

di Andrea Tempestini domenica 26 novembre 2017

3' di lettura

La piccola Aurora Masato di Dolo (Padova) è in sedia da rotelle dal 2013, a seguito di un incidente stradale causato da un uomo che guidava sotto l’effetto di stupefacenti e ha travolto lungo la statale Romea l’auto condotta dalla mamma. Andrea Pellizza, responsabile del grave sinistro, è stato condannato con rito abbreviato in sede penale a due anni di reclusione (non erano ancora in vigore le norme sull’omicidio stradale) e ha proposto appello con il solo obiettivo di ottenere la prescrizione del reato, pur beneficiando nel frattempo della sospensione della pena. Come sovente avviene in questi casi drammatici, la vita di mamma Tania è ora interamente dedicata alla speranza di restituire dignità esistenziale alla piccola figlia. Mai le tabelle risarcitorie riescono a indennizzare in modo adeguato le lesioni del danneggiato e le pene dei parenti: lo stravolgimento delle esistenze non si può quantificare. Su queste premesse ci si aspetterebbe che il ristoro monetario non fosse nemmeno in discussione, così da permettere a Tania di coltivare il sogno di migliorare le condizioni di Aurora. Invece niente. Le assicurazioni ringhiano per non pagare, e il costoso viaggio di Aurora negli Usa per recuperare l’utilizzo delle gambe poco importa al bilancio della compagnia. Nessun anticipo, la famiglia è costretta a umiliarsi, a svendere la propria dignità perché impossibilitata a far valere i propri diritti con una magistratura che funziona a stento e con tempi processuali incompatibili con la decenza. Aurora in Usa andrà grazie a una colletta per verificare la possibilità di impiantare nella colonna vertebrale lesionata dei trasmettitori d’impulsi elettrici che consentano di muovere gli arti paralizzati. Non bastasse un quadro così drammatico, in Italia la legislazione consente a enti mutualistici (si fa per dire) quali Inps e Inail di arricchirsi sulla pelle del danneggiato. Infatti questi istituti liquidano modeste rendite a chi ha subito un infortunio o una malattia a causa di un sinistro stradale o lavorativo, ma contestualmente vanno a richiedere l’intero capitale (cioè la rendita capitalizzata) al responsabile civile del danno o al suo assicuratore. Basta un semplice calcolo matematico per capire che bastano gli interessi sulla somma intascata dall’ente in nome del danneggiato per poi di liquidare la rendita. Una sorta di giochino delle tre carte previsto per legge, in cui al danneggiato rimangono solo le briciole di una importante fetta del risarcimento complessivo. Ad Aurora invece l’Inps non lascia nemmeno le briciole: in base alle modalità appena spiegate l’ente pensionistico ha incassato dall’assicurazione 195mila euro e le ha liquidato una rendita parametrata a un’invalidità superiore al 66%. Poi Aurora è stata chiamata alla cosiddetta “revisione” e la pensione le è stata addirittura ritirata, perché i postumi della malattia si sarebbero stabilizzati - a dire dell’ente - sotto il 66%, e dunque l’indennizzo non è previsto. Verrebbe naturale ritenere che contestualmente l’Inps abbia restituito i 195mila euro all’assicurazione, venuti meno i presupposti per cui li aveva incassati. Nulla di tutto ciò. L’Inps tiene il malloppo e la povera Aurora, oltre che alla carrozzina a rotelle, è costretta all’indigenza e alle collette. Questa schifezza è la prassi. Prima della sentenza, sia la coscienza di un Paese civile a imporre all’assicurazione di risarcire la piccola Aurora e all’Inps di restituire il maltolto! di Matteo Mion

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