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Yara, il caso non è chiuso. La voce: Bossetti forse ha avuto un complice

di Giulio Bucchi domenica 22 giugno 2014

3' di lettura

Il caso Yara non è ancora chiuso. Il procuratore generale di Brescia Pier Luigi Maria Dell'Osso, commentando l'arresto di Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore bergamasco arrestato con l'accusa dell'omicidio della 13enne di Brembate di Sopra Yara Gambirasio, avvenuto quasi quattro anni fa, ha detto il contrario: "Ci troviamo davanti ad una situazione che ci fa dire che il caso è praticamente chiuso", perché le prove in mano ai pm, test del Dna compreso, sono pesanti. L'arresto di Massimo Bossetti: guarda la fotogallery     L'ombra di un complice - Eppure non tutto è ancora chiaro. A cominciare da quella indiscrezione filtrata su molti siti, a proposito del possibile coinvolgimento di una seconda persona. Il questore di Bergamo Fortunato Finolli ha tagliato corto, preferendo "non confermare né smentire" la voce, chiarendo però che "per i congiunti il favoreggiamento non esiste". Resta, infatti, un altro giallo: la madre di Bossetti ha ribadito che l'uomo è figlio suo e di suo marito, e non il figlio illegittimo dell'autista Giuseppe Guerinoni, uno dei punti chiave dell'accusa. Le coltellate e la polvere di calce - "Ci sono ancora accertamenti da svolgere e i tempi non saranno brevi", ha spiegato ancora Finolli, mentre gli inquirenti mettono a fuoco i punti fermi dell'inchiesta. Tra il dna di Bossetti e quello ritrovato sugli slip di Yara vi è "sostanziale e assoluta certezza di compatibilità", scrive il pm Letizia Ruggeri nel provvedimento di fermo a carico del muratore di Mapello. Nel capo d'imputazione si contesta l'omicidio con l'aggravante delle sevizie. Il pm sottolinea infatti come la ragazza sia stata colpita "con tre colpi al capo e con plurime coltellate" in diverse parti del corpo prima di essere abbandonata "agonizzante in un campo isolato". E la morte della giovane è "da ricondurre agli effetti concausali dell'ipotermia e delle lesioni da arma bianca e contusiva". Nel provvedimento di fermo vengono catalogati fra gli indizi anche le "polveri riconducibili a calce" trovate nei polmoni, sul corpo e gli indumenti di Yara che riconducono al lavoro di muratore di Bossetti. Polveri che sono "possibile espressione di contaminazione da parte di materiali utilizzati solitamente, anche se non esclusivamente, nell'attività edilizia". Il cellulare e la cella di Mapello - Il cellulare di Bossetti, inoltre, risulta tra quelli che avevano impegnato la cella della zona dove è stato ritrovato il cadavere dell'adolescente nell'ora in cui sarebbe avvenuto l'omicidio. Alle 17.45 del 26 novembre 2010 il telefonino "aggancia" la cella di via Natta a Mapello, "compatibile con le celle agganciate dal cellulare di Yara quel pomeriggio". Ma poi "non fa più comunicazioni fino alle 7.34 del mattino successivo". C'è anche questo black out di poco meno di 14 ore tra gli indizi a carico del presunto assassino della ragazza. Nel decreto di fermo, il pm spiega che gli inquirenti impegnati nell'analisi del traffico telefonico nell’«area di interesse» in relazione alla scomparsa di Yara si sono trovati inizialmente alle prese con "centinaia di migliaia di contatti". Uno screening di massa che mesi dopo, successivamente al ritrovamento del cadavere, sarebbe stato mirato ai "soggetti presenti in quell'area nelle ore di interesse, che svolgessero professionalmente attività edilizia, stante la pregnante indicazione proveniente dall'indagine necroscopica". 

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