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Ruby, Il Fatto Quotidiano: "Sette anni a Berlusconi sono troppi"

di Andrea Tempestini domenica 20 luglio 2014

3' di lettura

All'antivigilia della sentenza di secondo grado nel processo Ruby, un clamoroso articolo del Fatto Quotidiano. Il giornale vicediretto da Marco Travaglio, che lo vorrebbe vedere in galera a vita, stavolta "assolve" Silvio Berlusconi. L'ingrato compito tocca a Marco Lillo nell'articolo dal titolo: "Ruby, perché sette anni sono troppi". Più che esplicito l'attacco del pezzo: "Per una volta i legali di Berlusconi non hanno tutti i torti: la condanna di primo grado nel caso Ruby non sta in piedi. Se la pena non fosse ridotta in appello non sarebbe uno scandalo". Favori al Pd - Incredibile ma vero, casa-Travaglio, la casa delle manette - soprattutto se ipoteticamente strette attorno ai ponti di Berlusconi - parla di pena sbagliata e troppo pesante nei confronti di Berlusconi stesso. L'articolo spiega: "Quando c'è costrizione, dopo la riforma Severino del 2012, il minimo di pena è 6 anni. La vecchia concussione (compresa quella per induzione) prevedeva pene da 4 ai 12 anni mentre la nuova induzione indebita introdotta dalla legge Severino va da 3 a 8 anni. Per evitare il mezzo colpo di spugna per l'induzione contestata dal pm a Berlusconi - prosegue il Fatto -, il Tribunale ha ricondotto la telefonata di Berlusconi alla costrizione e gli ha affibbiato 4 anni più 2 per l'aggravante. In tal modo - si spiega - la Questura resta una vittima e la legge Severino non produce alcun efetto in favore dell'ex premier, come invece è stato per il Pd Filippo Penati". La "costrizione" - Insomma, il cuore della questione è la "costrizione", contestata da Berlusconi, ma pure dal Fatto. La presunta costrizione contro il capo di gabinetto della Questura di Milano, Pietro Ostuni, "costretto" a rilasciare Ruby. Eppure, ricorda Lillo, a Ostuni un margine di libertà restava eccome. Poteva benissimo richiamare Berlusconi e dire: "Scusi presidente ho verificato: Ruby è marocchina, non è egiziana e non è la nipote di Mubarak. (...) Se non l'ha fatto non è stato per una costrizione di Berlusconi ma per una sua scelta. Con tutta probabilità Berlusconi avrebbe battuto in ritirata e, se fosse andato avanti con le sue richieste, allora sì che si sarebbe potuta ipotizzare una costizione degna di sei anni di galera". Non in questo caso, però. "Prova debolissima" - Il lungo articolo, inoltre, ricorda come la legge Severino lasci al pubblico ufficiale l'alternativa, secca: decidere tra la costrizione - con cui punire severamente, nel caso, Berlusconi - oppure l'induzione indebita a liberare Ruby, dove però sarebbe colpevole anche Ostuni, complice nella "liberazione" di Ruby. Il sospetto affacciato anche dal Fatto, dunque, è che si sia preferito evitare di toccare la Questura, dipingendola anzi come vittima. Si ricorda poi come la scelta di contestare la "costrizione" sia "figlia della posizione assunta da Edmondo Bruti Liberati", capo delle toghe di Milano, vicinissimo alla Boccassini e fiero oppositore del Cav. Si ricorda, inoltre, come la prova per contestare la costrizione stessa sia debolissima: "Secondo De Petris, i funzionari della Questura si accorsero subito che Ruby non era la nipote di Mubarak ma non dissero nulla al premier proprio per il loro stato di costrizione. La tesi è deboli". Una circostanza evidente a tutti, che la tesi sia "debole". Anche al Fatto. Anche a Travaglio, che di fronte a una macroscopica persecuzione - quella delle toghe al Cav - alza bandiera bianca e, via Marco Lillo, "assolve" il leader di Forza Italia (o, almeno, gli concede uno sconto di pena).

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