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Gad Lerner, l'inelegante sfogo dopo l'addio al Fatto

di Giovanni Sallusti domenica 27 aprile 2025

3' di lettura

Tra i non molti meriti di Gad Lerner c’è quello di incarnare alla perfezione un preciso tipo umano del dibattito italico, un vero e proprio stereo-tipo. “Comunista col Rolex”, lo battezzò qualcuno, il titolare della definizione si perde nella leggenda, la sostanza è quella di una variante nostrana del Radical-Chic sezionato da Tom Wolfe. Togliete l’attico su Park Avenue, mettete lo yacht dell’Ingegner De Benedetti, il risultato non cambia: il proprio ombelico ideologico come mondo, e il mondo soggetto ai capricci dell’ombelico. L’ultimo capriccio di Gad è andato in scena in prima serata su La7, a tamponare le lacrime un compiaciuto Corrado Formigli. La giaculatoria si sarebbe anche confusa dentro un filone stra-battuto in questi giorni, l’antifascismo eterno, non fosse per un particolare rilevante, e rivelatore del soggetto: l’attacco agli amici traditori. Inzigato da Formigli sul libro di Antonio Padellaro “Antifascisti immaginari”, che costituisce precisamente una stroncatura della postura dissidente in assenza di regime della gauche caviar («Facce da Ventotene», le battezza il fondatore ed editorialista del Fatto Quotidiano), Lerner dapprima liquida il tema così: «Una polemica da cortile per noi frequentatori dei talk show» (non so se ci rendiamo conto, lui che accusa qualcuno di sguazzare nella bolla intellettual-mediatica, come se Bukowski avesse ammonito sul consumo eccessivo di alcol).

Dopodiché, ci tiene con somma eleganza ad addentrarsi nelle motivazioni per cui ha recentemente abbandonato la collaborazione col giornale di Padellaro e Travaglio (non risultano reazioni affrante tra i “culi di pietra” della redazione, come direbbe Andrea Scanzi). Assist di Formigli: «Hai lasciato dicendo che erano troppo indulgenti con le destre fascistoidi, con Trump e Putin...». «Ho provato un disagio prolungato...» esordisce Gad montando la più classica delle facce da Ventotene, e quasi puoi raffigurartelo, in esilio duro nella sua tenuta del Monferrato dove ospita vigneti metà Barbera e metà Nebbiolo, mentre gli ex sodali si arruolano nell’Internazionale Nera.

«Mi sentivo un pesce fuor d’acqua», e lì percepisci la sofferenza vera, di fronte a «quest’idea che siano uomini come Trump e Putin quelli che portano la pace nel mondo». Al di là dell’equazione sghemba tra lo Zar e The Donald, pare che Gad abbia scoperto l’altro ieri che il Fatto non fosse un tifoso delle politiche di Biden e delle «amministrazioni democratiche». In ogni caso, lo psicoreato di Padellaro e compagnia, che poi sarebbero quelli che gli hanno dato una tribuna quando la nuova proprietà di Repubblica ha gentilmente indicato la porta, consisterebbe nell’«atteggiamento liquidatorio» che ostentano verso «il progressismo» (cioe verso le sue idee, tutto il resto è noia oscurantista), e «chissenefrega se questi ci rimettono nel fascismo in diversi Paesi», tuona Gad picconando la storia e la lingua italiana. Oltre all’Orco in capo Trump, e al sempiterno fantasma di Giorgia Meloni, cita anche «Francia e Germania».

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Ovvero, un Paese dove la leader della destra è stata esclusa dall’agone politico manu giudiziaria, e uno dove il partito di destra è oggetto della conventio ad excludendum di tutti gli altri. Ma è inutile ricercare un barlume di logica, quello lerneriano è uno sfogone che qualcuno non a digiuno di psicologia potrebbe accostare alla sindrome rancorosa del beneficiato. Perché se approdare sulla barca del Fatto fu «una scelta obbligata» (citiamo letterale dal primo pezzo di Gad sulle colonne travagliesche), scenderne con signorilità era chiaramente facoltativo.

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