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Coronavirus, i virologi: "Non andate assolutamente in ospedale", l'ordine impensabile: cosa si rischia

di Caterina Spinelli domenica 23 febbraio 2020

3' di lettura

Già. Ma adesso cosa cambia? Con i casi di coronavirus in Lombardia, i primi test in Veneto, il paziente lodigiano di 38anni che ha contagiato la moglie, oggi, e nelle prossime ore, cosa dobbiamo aspettarci? «La situazione non sta cambiando troppo», racconta il virologo Fabrizio Pergliasco, «è qualcosa che tutto sommato ci aspettavamo e che è già successo in altri Paesi europei». In Francia, per esempio. Ma anche nel Regno Unito e in Germania. «Non facciamo allarmismi, il panico è sempre controproducente». Prima, fondamentale, regola: cercare di rimanere tranquilli. «Le autorità e le istituzioni stanno facendo bene», continua l' esperto, «hanno attuato la massima prevenzione possibile e stanno lavorando al meglio con l' obiettivo di evitare una diffusione in comunità del coronavirus». Che fuori dal gergo medico significa fare il tutto per tutto per impedire nuovi contagi. «Adesso bisogna fare quello che è nelle nostre possibilità», dice Pergliasco. E allora avanti con le quarantene, le sorveglianze attive, i monitoraggi. «La chiusura dei negozi nelle zone dell' epicentro, per esempio, è un' ottima cosa. Queste decisioni non si intendono per sempre, ovviamente. Andranno modellate e calibrate in base alle esigenze dei prossimi giorni». RICOSTRUIRE I CONTATTI Ma sono un inizio. E poi c' è da capire cosa sia avvenuto per davvero, in quella cena che ha dato il via a tutto l' ambaradan. Bisogna scandagliare i contatti, le relazioni, le interconnessioni di chi può aver avuto un legame con le persone ricoverate e con quelle sottoposte ai test clinici. Non sono informazioni che si ottengono in un amen, non si può prendere sottogamba la faccenda. «La conoscenza di questi fatti è fondamentale, al momento non sappiamo con certezza come sia andata. L' ipotesi più accreditata è che un soggetto poco sintomatico ma con il coronavirus sia arrivato da noi prima della chiusura totale dei viaggi con la Cina». Sfortuna, tempistica scalognata: vai a sapere. «Da adesso in poi se ci saranno difficoltà dipenderà anche dal comportamento di ognuno di noi», puntualizza invece la dottoressa Anna Teresa Palamara che presiede la Società italiana di microbiologia. Palamara e Pergliasco concordano su un punto chiave, anzi su due. Il primo è che tocca tenere a bada i nervi e non farsi prendere dall' ansia. Il secondo è che sia la Regione Lombardia che il governo di Roma si sono mossi bene, in questi mesi. «Dobbiamo entrare nell' ottica che è necessario seguire le prescrizioni mediche e i protocolli», prosegue Palamara, «chi è positivo al test per il coronavirus deve mettersi in quarantena e chi è entrato in contatto con persone che hanno il virus ma non si sente alcun sintomo deve stare a casa. In Cina stanno riuscendo a contenere i casi perché la gente sta seguendo pedissequamente le regole». Insomma signori, dobbiamo fare un po' "i cinesi". E cioè: «Evitare nella maniera più assoluta i pronto soccorso qualora si abbiano sintomi respiratori dopo essere entrati in contatto con una persona proveniente dalla zona dell' infezione». Il monito non è un invito a fregarsene, s' intende: «Gli ospedali in questo periodo sono sovraccarichi di malati a causa dell' influenza che è stagionale», spiega la dottoressa, «chi accusa i sintomi deve chiamare il 112 o il 1500: una squadra di specialisti farà il tampone specifico». Rispondono anche in mandarino, per la cronaca. COSA FARE «Il ministero della Salute ha redatto un piano preciso che va seguito alla lettera, fare i furbi in questa situazione non aiuta. Anzi, la si paga». E con gli interessi, verrebbe da aggiungere. Ricordiamoci di lavarci le mani il più possibile, di disinfettarle e di mettere i guanti quando siamo in luoghi affollati. «La comunità scientifica italiana si aspettava tutto questo», conclude Palamara, «da noi il primo caso di coronavirus è arrivato in ritardo rispetto ad altri Stati del continente perché abbiamo fin da subito attivato misure più restrittive degli altri, ma sarebbe stato strano il contrario». È partita anche una procedura specifica che dovranno seguire i medici di famiglia quando andranno a trovare i loro pazienti casa per casa. Sono loro, dopotutto, i camici bianchi, quelli in prima linea. di Claudia Osmetti

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