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Come in Psycho aveva in casala "maga" imbalsamata

Macabra scoperta in una villetta dopo la morte della consuocera: il corpo ben conservato e sistemato su una sedia nell'atto di benedire
di Nicoletta Orlandi Posti giovedì 31 ottobre 2013

3' di lettura

Psycho a Borgo San Dalmazzo. Nel celebre film di Hitchcock del 1960 l’affittacamere Norman Bates parlava con la madre imbalsamata, non avendone mai accettato la morte. Nel momento più intenso del film appare travestito come l’anziana genitrice: l’immedesimazione è l’ultimo passo del suo disperato bisogno di preservare il ricordo della donna più importante della sua vita.  Chissà qual era invece il legame che stringeva Rosa a Graziella, protagoniste di una vicenda simile, ma se possibile ancor più misteriosa. A Borgo San Dalmazzo (Cuneo), in una villetta a tre piani in via Pedona, abitava Rosa, terminalmente malata di cancro. E, almeno per quello che se ne sapeva, lì viveva anche la sua consuocera, Graziella, 68 anni, madre della donna che aveva sposato uno dei figli di Rosa. Anche il figlio di Rosa e sua moglie risiedono nella stessa villetta. Stanzino mai visitato - Graziella è una donna molto particolare: ha fama di santona. In quella stessa casa accoglie le persone che vogliono conoscere il loro destino dalle carte, dispensa consigli, s’interessa di occultismo. Ma da qualche tempo Graziella non riceveva più, era partita per un viaggio, perlomeno così sapevano tutti. Quello che non sapevano è che da quel viaggio non c’era ritorno possibile: Graziella era morta, e se ne stava chiusa in uno stanzino mai visitato della casa, dietro una porta aperta forse soltanto da Rosa, conservata esattamente come da millenni si usa presso le civiltà più disparate: mummificata, le gambe panneggiate di lenzuola di cotone e di lino, fissata in una postura benedicente, seduta su una poltrona, la schiena dritta, il braccio destro sollevato, la mano sinistra sulle ginocchia. Graziella, la santona, era stata trasformata dalla consuocera Rosa, divenuta sua sacerdotessa, in un idolo, un’immagine sacra di carne preservata dalla putrefazione con essenze, oli e canfora. Chissà a quale scopo, forse per continuare a profetare dall’aldilà, ora che poteva scrutare il regno dell’oltretomba.  La mummia - La verità emerge quando Rosa, giovedì scorso, finisce di soffrire per la sua grave malattia. Muore nel letto di quella stessa casa, assistita dal figlia e dalla nuora. Domenica scorsa i funerali, e bisognerà pure informare Graziella, raggiungerla in quel lontano luogo dov’è andata. E finalmente l’irreperibilità di Graziella diventa sospetta, si aprono gli occhi, intervengono i carabinieri, spalancano quella porta della villetta dove, assurdamente ignari fuorché la defunta, vivevano tutti i protagonisti di questa vicenda, e trovano l’idolo mummificato della donna creduta assente per un lungo viaggio. Immaginare la scena dell’apertura della porta, della stanzetta nella quale emerge la figura spettrale di Graziella assisa con la mano destra benedicente, il viso ben conservato, le lenzuola sulle gambe, avrebbe richiesto la fantasia di Edgar Allan Poe, altro spirito ossessionato dai morti che non muoiono, che ritornano, bloccati sulla soglia sottilissima tra vita e morte. Rapporto misterioso - Ora però è il turno degli specialisti di medicina legale, non dei poeti o dei registi del brivido. Sul cadavere di Graziella ieri mattina è stata effettuata l’autopsia che dovrà stabilire cause e tempi della sua morte. Si dovrà indagare su come sia stato possibile mantenere un segreto così ingombrante, come quello di una mummia in uno stanzino, per così tento tempo, in una casa abitata da altri, in un piccolo paese dove tutti sanno tutto di tutti. Ma con la morte di Rosa probabilmente precipiterà nel buio il mistero della mummificazione di Graziella, di questo rapporto tra consuocere che sa tanto di affiliazione esoterica, di un vincolo tra maestro e discepolo, tra divinità e devoto. O forse la chiave è quella di un possesso paranoico, estremo, un desiderio insano di riservare solo per sé i presunti poteri della cartomante, della guaritrice, come certi fedeli a un santo che credono di avere un rapporto personale, privilegiato, con lui.  Comunque, non è una storia nuova: in antiche tombe vennero trovati fori per consentire ai vivi di nutrire i defunti mediante cannucce. di Giordano Tedoldi

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