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E' sposato con un italiano gay:gli danno permesso di soggiorno

Dopo le nozze con un milanese, un serbo ottiene i documenti: è un parente. Ma l’unione da noi non è riconosciuta
di Matteo Legnani venerdì 31 agosto 2012

4' di lettura

Ma è giusto che siano le questure a fare e disfare le famiglie? Anche le famiglie omosessuali formate da due uomini sposati in paesi come la Spagna o il Canada, anche se il vincolo matrimoniale contratto in quei paesi in Italia è carta straccia? Giusto o no, la tendenza è quella, come dimostra la vicenda di Djiordje, cittadino serbo al quale ieri la questura di Milano, nello stesso giorno in cui era stato richiesto, ha rilasciato il permesso di soggiorno in qualità di coniuge di Adrian, italo-canadese. I due si erano sposati in Canada nel 2009, poi si sono stabiliti in Italia. Il loro matrimonio non è convalidato dalle nostre leggi ma dietro consiglio e con l’assistenza dell’associazione radicale Certi Diritti, Djiordje ha chiesto il permesso di soggiorno sulla base delle direttive circa la libera circolazione in Europa dei cittadini europei e dei loro familiari. E proprio sul concetto di «familiare» si fonda la base giuridica del rilascio del permesso di soggiorno da parte della questura. Anche se il loro matrimonio in Italia non è valido, e dunque a rigor di termini non sono coniugi, tuttavia la sentenza 1328 del 2011 emanata dalla Cassazione stabilisce che la nozione di «coniuge» va determinata secondo l’ordinamento straniero in cui il matrimonio è contratto. In questo caso, quello canadese.  In poche parole e, con buona pace del principio di non contraddizione, Djiordje e Adrian sono e non sono coniugi al tempo stesso. Oppure, se preferite, il loro matrimonio omosessessuale celebrato in Canada non è valido in Italia, però sono da considerare come fossero sposati, dice la Cassazione, dunque possono costituire una famiglia, e così possono godere delle norme sulla libera circolazione dei cittadini europei e dei loro familiari. Naturalmente in un simile groviglio normativo la questura a volte fa le famiglie, come è accaduto ieri, altre volte le disfa, come era accaduto a Reggio Emilia nel febbraio scorso, quando la questura aveva respinto il permesso di soggiorno a Rafael, cittadino uruguayano sposato in Spagna con l’italiano Flavio. Rafael e Flavio avevano in seguito presentato ricorso e il tribunale aveva rovesciato la decisione della questura, che dovette quindi concedere il permesso di soggiorno a Rafael per lo stesso principio applicato ieri (e già un’altra volta in precedenza) dalla questura di Milano, vale a dire la libera circolazione europea di cittadini e loro familiari. L’associazione Certi Diritti, commentando la notizia di ieri circa il ricongiungimento familiare di Adrian e Djiordje, sottolinea anche l’importanza della carta europea dei diritti fondamentali, al cui articolo 9 si dice che gli omosessuali hanno diritto di sposarsi e costituire una famiglia, mentre prima si specificava che il matrimonio era diritto riservato a coppie di sesso diverso.  Ma uscendo un istante da questo ginepraio di sentenze, norme, carte dei diritti e matrimoni oltreoceanici, rimane un punto da dirimere, che è quello di cui si diceva all’inizio: qui, nel nostro Paese, è giusto che siano le questure a fare e disfare le famiglie? E che a Milano facciano e a Reggio Emilia disfacciano, salvo poi essere smentite dai tribunali (oppure no)? Non c’è un eccesso di arbitrarietà in queste decisioni? La domanda è del tutto retorica, perché sì, certo che c’è, al punto che i radicali di Certi Diritti se da un lato esultano per la decisione della questura di Milano, dall’altro si lamentano della questura di Rimini, che a loro dire dal 17 maggio 2012 blocca il rilascio di un permesso di soggiorno a un cittadino cubano sposato in Spagna da un italiano. Casi simili, decisioni opposte.  Altro che certezza del diritto e carta dei diritti fondamentali, questo è il gioco delle tre carte, una lotteria per la quale secondo una questura esiste una famiglia e dunque viene consentito il ricongiungimento, secondo un’altra, di un’altra città, ci sono due uomini che si saranno pure sposati da qualche parte ma non c’è una famiglia di cittadini italiani. Allora non sarebbe meglio sottrarre queste decisioni alle questure, che anche secondo il semplice buon senso in simili questioni non dovrebbero intervenire minimamente, e decidere una volta per tutte, con norme chiare e univoche, se e quando due uomini possano dirsi sposati in Italia, non in Spagna o in Canada o in qualunque altra parte del mondo? O vogliamo continuare a affidare la costituzione di una famiglia, che dovrebbe essere nient’altro che lo sviluppo semplice e naturale di un rapporto d’amore, a codici, uffici, amministrazioni, e al sorteggio delle questure favorevoli o contrarie, con contorno di associazionismo e proclami di vittoriose battaglie civili? di Giordano Tedoldi

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