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Coronavirus a Bergamo, tutta colpa del calcio: il sospetto sul contagio tra Atalanta e Codogno

di Davide Gondola mercoledì 18 marzo 2020

3' di lettura

Per tentare di capire il calvario di Bergamo e della sua magnifica gente sempre più spesso, e a voce meno bassa, si è citato un evento, meraviglioso per la città e non solo: San Siro, mercoledì 19 febbraio, Champions League. Atalanta 4, Valencia 1, e 45mila persone il cui buon 90% si è contemporaneamente mosso da una ristretta fascia di territorio, Bergamo e la sua provincia, specie quella più prossima alla città. Tutti stretti intorno ai neroblu, in quello stadio.

La vulgata, sposata o contestata, ha lasciato il posto ai fatti. Basta passare dai forum dei tifosi della Dea, e leggere un racconto, una testimonianza: «Da San Siro al Mestalla via Covid-19». La notte di San Siro, la gioia violenta, gli abbracci e i brindisi. Poi, già dal giorno seguente, i primi brividi, i dolori, la febbre e quel respiro che si tronca. La rianimazione e poi, per fortuna, la vita ripresa al volo e la guarigione, proprio in corrispondenza del ritorno, vissuta come un lieto fine personale, ma non della battaglia di tutti. Altri fatti sono risultati la positività di alcuni tifosi venuti da Valencia, e quelli di un giornalista. E oggi, il 35% dello staff della squadra spagnola è infetto: tutto tace dal fronte dell'Atalanta, i cui giocatori e tecnici sono in isolamento.

«NESSUN SINTOMO»
L'esplosione del caso Bergamo - con l'impressionante decollo di contagi - è collocato nei giorni tra il 29 febbraio e il 3 marzo: in perfetta linea con i tempi di incubazione (in media 10-12 giorni) collegati alla partita. Il virus era già a San Siro, che è stato il detonatore: e la testimonianza riportata - con i primi problemi già in atto l'indomani - fa capire che il calendario va riportato indietro di altri 10 giorni. Primo focolaio, tutti sanno, il Lodigiano: Codogno, Casalpusterlengo, Castiglione. Primi casi nel Bergamasco in bassa Val Seriana: e qualcuno ha subito collegato un'altra partita: 9 febbraio, AlbinoGandino-Codogno, campionato di Eccellenza. Codogno che la settimana seguente ha poi incontrato un'altra squadra della provincia, il Mapello.

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Calcio come denominatore comune, Atalanta passione di molti calciatori dei due team locali: un calciatore dell'Albino assicura tuttavia che nessuno è andato allo stadio, c'era allenamento quel mercoledì. A Mapello qualche dubbio, ma il punto, in entrambi i casi, è che nel due gruppi non si è sono registrate crisi, nessun malessere, al massimo qualche fastidio passeggero. Da parte sua il ds del Codogno, Marseglia, sorride a denti stretti: «Non solo fin qui siamo stati bene tutti, ma mai come quest'anno abbiamo avuto pochi influenzati». Brutto - e ingiusto - sospettarli di inconsapevole diffusione di questo virus bastardo. La squadra, come il resto d'Italia che è asintomatico, non è mai stata controllata e forse era opportuno: solo quattro calciatori vivono nel territorio divenuto "zona rossa". Gli altri vivono fuori, uno proprio a Seriate. Senza test, nulla è provabile, nulla è ricostruibile. I sospetti, le teorie resistono come il Covid-19. Bergamo non se la meritava proprio, in tutti i casi: ma tradita dalla passione, sarebbe davvero troppo.

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