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P3. Concessi i domiciliari a Martino

Il gip scarcera l'imprenditore campano che ha scaricato le responsabilità su Carboni
di Roberto Amaglio giovedì 30 settembre 2010

2' di lettura

Dopo le testimonianze rese ai giudici del tribunale di Roma dal 19 agosto al 24 settembre, Il gip capitolino, Giovanni De Donato, ha deciso di concedere gli arresti domiciliari ad Arcangelo Martino, uno degli imprenditori campani invischiato nell'inchiesta sulla famigerata loggia P3. "Martino - scrive il gip - ha reso al pm dichiarazioni che lumeggiano alcuni aspetti dei fatti delittuosi in contestazione, ma ha chiaramente eluso il proprio effettivo ruolo in tali fatti attinenti alla "scoietas sceleris" in contestazione; da una parte affermando quasi un suo ruolo inconsapevole, quasi strumentalizzato cinicamente da Lombardi in particolare, mentre dagli atti e in particolare dalle intercettazioni di comunicazioni emerge un ruolo direttivo di Martino e di Carboni su Lombardi, il quale appare in realtà uno strumento rilevante in un ampio settore di attività illecite". Dichiarazioni - Per quanto riguarda le testimonianze rese da Martino, l'indagato avrebbe nell'ultimo colloquio del 24 settembre scorso confermato quanto già precedentemente dichiarato ad agosto. Nel dettaglio, l'imprenditore campano avrebbe accusato Flavio Carboni di essere il vero tramite tra il mondo imprenditoriale e Marcello Dell’Utri e Denis Verdini. Gli incontri tra di loro sarebbero stati anche finalizzati a influenzare il parere dei giudici della Cassazione sul caso Mondadori e a fare pressione sui membri della Consulta per il Lodo Alfano. "Martino - continua il gip - non smentisce i suoi stretti rapporti con Flavio Carboni e Marcello Dell’Utri, ma tende a configurare per Carboni il ruolo essenziale di tramite con Marcello Dell’Utri e Denis Verdini per scopi che chiarisce solo in parte, eludendo i reali scopi che riguardavano direttamente anche lui". Per questi motivi a Martino è stato permesso di tornare a casa, seppure con molte limitazioni, per il suo "parziale riconoscimento" di "alcuni fatti di natura delittuosa e quindi quanto meno di messa in discussione dei suoi rapporti con l’ambiente in cui i fatti delittuosi sono maturati e si sono realizzati".

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