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Magistratura, il giudice nomina il suo amico? Non c'è nessun reato: la sentenza è uno schiaffo

di Paolo Ferrari mercoledì 2 giugno 2021

3' di lettura

Se un cittadino chiede un favore di qualsiasi tipo ad un politico, quest' ultimo risponde nella migliore delle ipotesi di abuso d'ufficio, altrimenti di corruzione. Se un favore, come una nomina o un incarico, lo chiede un magistrato ad un componente del Csm non succede nulla trattandosi di "autopromozione". È il "doppio binario" che assolve i signori in toga e punisce con l'arresto i comuni mortali. «La legge per i nemici si applica, per gli amici si interpreta», diceva Giovanni Giolitti che aveva già capito tutto un secolo prima di Luca Palamara. Un esempio di applicazione del diritto per coloro che non hanno il privilegio di indossare la toga viene dalla recente sentenza numero 21006 della Cassazione. In estrema sintesi, risponde di concorso in abuso d'ufficio chi "convince" il pubblico ufficiale a non compiere il proprio dovere, non trattandosi di una semplice segnalazione che lascia libertà di agire, bensì di una istigazione determinante per la decisione finale. I cultori del diritto potranno obiettare che nel caso affrontato dalla Cassazione, un multa non elevata dalla stradale, si configura un vantaggio patrimoniale. Per i magistrati, differenziandosi fra loro solo per funzioni, non ci sarebbe alcun incremento di stipendio fra chi, a parità di anzianità di servizio, viene nominato procuratore e chi resta pm. Però c'è il danno ingiusto: il meccanismo emerso dalle chat ha danneggiato chi non aveva santi in paradiso, quindi al Csm.

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Palamara, in segno di "pacificazione", dopo l'esplosione dello scandalo sulle nomine si è affrettato a chiedere scusa ai colleghi penalizzati dal mercato delle nomine. Ma oltre a non incorrere in reati, le toghe dedite al "self marketing" sono state esonerate dal fastidio di affrontare un disciplinare. Il pg della Cassazione Giovanni Salvi, titolare dell'azione disciplinare, con una circolare dell'anno scorso ha stabilito che il magistrato non commette illeciti caldeggiando il proprio nome per un incarico al Csm. «L'attività di autopromozione - secondo Salvi - effettuata direttamente dall'aspirante, anche se petulante, ma senza la denigrazione dei concorrenti, non può essere considerata in violazione di precetti disciplinari». Per le Sezioni unite della Cassazione, invece, le condotte che danno vita al sistema clientelare, mediante qualunque interferenza nella valutazione del Csm, «sono in ogni caso disciplinarmente sanzionabili», diversamente da quanto previsto dalle linee di Salvi. A due anni dalla pubblicazione delle chat di Palamara, dunque, nessuna Procura ha aperto un fascicolo nei confronti dei magistrati che spingevano per una nomina, nessun procedimento disciplinare è stato avviato per sanzionare il self marketing togato, e nessuno è stato trasferito per incompatibilità ambientale. Insomma, tranne Palamara sono tutti al proprio posto.

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Nei mesi scorsi, senza successo, alcuni magistrati "dissidenti" del gruppo anticorrenti Articolo 101, hanno invitato Salvi a ritirare la direttiva, chiedendogli le dimissioni se non avesse fornito spiegazioni convincenti su un episodio di self marketing, quindi non punibile, che lo aveva visto coinvolto ed era stato raccontato nel libro Il Sistema. Per la precisione un aperitivo alla presenza dell'allora vice presidente del Csm Giovanni Legnini durante il quale si sarebbe "sponsorizzato" proprio per il posto di pg della Cassazione

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