La notizia non ha avuto l’eco che meritava. Ma merita di essere ripresa, perché si è stabilito che mollare uno schiaffo a un poliziotto non è un atto grave. L’incredibile decisione porta il sigillo della Corte Costituzionale che ha stabilito una sorta di impunità per un reato - si potrà ancora chiamarlo così? - del genere. Durante una manifestazione una donna era stata accusata di resistenza a pubblico ufficiale proprio per aver preso di mira in quel modo un agente di polizia che stava semplicemente facendo il proprio dovere. La Consulta se l’è cavata sentenziando che un fatto “particolarmente tenue” non merita condanna e va lasciato impunito. Boato e ovazioni dai centri sociali verso i giureconsulti. La sentenza si riferisce al caso di una donna accusata di resistenza aggravata a pubblico ufficiale a Firenze, durante una manifestazione politica nell’ottobre 2019.
La manifestazione in questione - stando ai resoconti giornalistici - era la Leopolda di Matteo Renzi, che all’epoca tenne a battesimo Italia Viva. Alla militante era stato impedito di entrare nel padiglione dove si svolgeva la kermesse perché era stata «già raggiunto la capienza massima». La donna, a quel punto aveva toccato più volte con un dito il torace di un agente della polizia di Stato, «infine colpendolo con uno schiaffo al volto». Si può fare, pare di capire. Secondo il giudice di primo grado, si era trattato di un «gesto occasionale di violenza irrisoria», e la militante aveva agito con forza modesta e non per compromettere la sicurezza della manifestazione, ma solo «al fine di partecipare alla stessa». Per questo il magistrato intendeva applicare la causa di non punibilità per «particolare tenuità del fatto». Provate a mettervi nei panni delle forze dell’ordine di fronte ad una sentenza del genere.
Tuttavia, il terzo comma dell’articolo 131-bis del codice penale esclude tale possibilità per i reati di resistenza, violenza o minaccia a pubblico ufficiale. Da qui il ricorso del Tribunale di Firenze alla Consulta, con ordinanza del 24 maggio 2024, sostenendo la violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Il giudice ricorrente ha osservato che esistono reati «pur di uguale o maggiore gravità» per i quali la tenuità del fatto è ammessa.
I giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto fondata l’obiezione, in un modo che davvero lascia stupefatti. Eppure il reato definito dall’Articolo 337 del Codice Penale prevede che chi usa violenza o minaccia contro un pubblico ufficiale- ad esempio un poliziotto in servizio- per impedirgli di compiere un atto d’ufficio può essere punito con reclusione da 6 mesi a 5 anni. Ma come accade sempre più spesso, in Italia le regole dipendono da chi le interpreta, i magistrati appunto. A noi sembrava che uno schiaffone fosse sempre uno schiaffone. Si tratta di una decisione che indubbiamente rappresenta un precedente pericoloso per la tutela dell’autorità e dell’ordine pubblico; non sembra vera, anzi una manna, per quanti stanno sempre dalla parte opposta alle forze dell’ordine.
La sentenza può comportare gravi conseguenze a partire dal rischio di incertezza e soggettività: la decisione lascia al giudice molta discrezionalità, e la valutazione di “tenuità” può variare tra un tribunale l’altro. E assieme un possibile aumento delle “resistenze difensive” nelle manifestazioni o nei fermi, confidando sul fatto che un gesto lieve - tipo spintone, schiaffo, resistenza passiva - possa non comportare sanzioni severe. Ci manca solo questo.