In questi giorni si è tornati a parlare della rinuncia di Benedetto XVI. Il suo segretario personale, Mons. Georg Gänswein, a cui è stato chiesto quando seppe della decisione di Benedetto XVI, ha risposto: «Il Papa me lo ha detto a Castel Gandolfo. Era fine settembre del 2012». Il card. Tarcisio Bertone, che era Segretario di Stato, rispondendo a una domanda analoga, ha dichiarato: «Nella primavera del 2012 ha iniziato a parlarmene», ma fu «durante l'estate» che il Papa prese la decisione definitiva. Ratzinger stesso lo aveva detto in una intervista a Peter Seewald. Anche per questo alcuni ipotizzavano che la rinuncia fosse soprattutto conseguenza del "caso Vatileaks", cominciato proprio all'inizio del 2012. Ma Benedetto XVI ha sempre categoricamente smentito.
I COLLOQUI - Bisogna poi ricordare due colloqui con il card. Carlo Maria Martini pubblicati nel 2012 da Renata Patti e risalenti al 7 gennaio e all'11 marzo 2012. Nel primo dei due incontri, alle considerazioni sconsolate della Patti sulla Chiesa, il prelato risponde: «Passerà, passerà». La Patti chiede: «E Benedetto XVI?». Martini replica: «Anche lui passerà. L'ho visto in aprile [del 2011]. Ho visto un uomo vecchio e stanco. Spero che presto si dimetta. Così la faremo finita con il segretario di Stato e la segreteria di Stato». Di un altro incontro fra Martini e Ratzinger, nel giugno 2012, scrisse Gian Guido Vecchi sul Corriere della sera del 16 luglio 2015, parlando del biblista Silvano Fausti, che era il confessore del cardinale di Milano: «Padre Silvano Fausti raccontava che il momento era stato quando Benedetto XVI e Carlo Maria Martini si videro per l'ultima volta. Milano, incontro mondiale delle Famiglie, 2 giugno 2012, il cardinale malato da tempo era uscito dall'Aloisium di Gallarate per raggiungere il Papa. Fu allora che si guardarono negli occhi e Martini, che sarebbe morto il 31 agosto, disse a Ratzinger: la Curia non si riforma, non ti resta che lasciare». Vecchi aggiunge: «Dimissioni "già programmate" dall'inizio del papato - se le cose non fossero andate come dovevano -, fin da quando al Conclave del 2005 Martini spostò i suoi consensi su Ratzinger per evitare i "giochi sporchi" che puntavano a eliminare tutti e due ed eleggere "uno di Curia, molto strisciante, che non ci è riuscito", rivela il padre gesuita».
GLI ATTACCHI - In realtà pare inverosimile parlare di dimissioni "già programmate" nel 2005. Ma qualcosa al Conclave potrebbe essere accaduto. Nel 2010 due bravi vaticanisti, Andrea Tornielli e Paolo Rodari, pubblicarono da Piemme il libro "Attacco a Ratzinger. Accuse e scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI". Il libro si apre con una premessa che inizia con un lungo virgolettato che i due autori definiscono «una confidenza» fatta nel 2009 da «un autorevole porporato che lavora da molti anni nei sacri palazzi». Ecco una sintesi della sua lunga esternazione: «Ricordo ancora, come fosse oggi, le parole che sentii dire da un cardinale italiano, allora molto potente nella Curia romana, all'indomani dell'elezione di Benedetto XVI. "Due-tre anni, durerà solo due-tre anni...". Joseph Ratzinger doveva essere un Papa di transizione, passare velocemente, ma soprattutto doveva passare senza lasciare troppa traccia di sé. Certo, un accenno alla durata del pontificato la fece Ratzinger stesso, nella Sistina. Disse che sceglieva il nome di Benedetto per ciò che la figura del grande santo patrono d'Europa aveva significato, ma anche perché l'ultimo Papa che aveva preso questo nome, Benedetto XV, non aveva avuto un pontificato molto lungo e si era adoperato per la pace... Visto che non è passato così velocemente come qualcuno sperava, e visto che il suo pontificato è destinato a lasciare un segno, si sono moltiplicati gli attacchi contro Benedetto XVI». Il porporato metteva in rilievo i grandi limiti dei suoi collaboratori e vedeva il Papa come un uomo solo. In questa situazione e in un contesto internazionale ostile, anche e soprattutto in Occidente (gli Usa di Obama/Clinton e l'Europa laicista), il Papa si rese conto che, con le forze che gli rimanevano, non poteva - in solitudine - guidare la Chiesa sotto attacco. La situazione era drammatica.
COME MOSÈ - Ma non seguì il consiglio di Martini andando in pensione. Fece un passo di lato, diventando papa emerito, «nel recinto di San Pietro», per far posto a un successore che lui avrebbe sostenuto con la preghiera di intercessione come Mosè, sulla montagna, sosteneva con la preghiera la battaglia di Giosuè: «Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek». Alla fine «Giosuè sconfisse Amalek» (Esodo 17). Francesco ha detto del Papa emerito che «solo Dio conosce il valore e la forza della sua intercessione, dei suoi sacrifici offerti per il bene della Chiesa».
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