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Stupro, le origini della parola giù usata nel '200 (e quella strana ipotesi più plausibile)

di Massimo Arcangeli lunedì 10 luglio 2023

2' di lettura

L’origine di stupro, parola già duecentesca, è dal latino stuprum, d’incerta provenienza. L’ipotesi più plausibile è quella di un legame col verbo stupere (“stupire”, “colpire”, “intontirsi”, “fermarsi”, “ghiacciarsi”, ecc.), sebbene sia un po’ difficile da credersi.

Nessuno dei significati di stuprum – “onta” o “disonore”, “vergogna” o “turpitudine”, “adulterio” o “incesto”, “violenza” o “seduzione” – investe, tocca o rasenta l’area semantica della meraviglia o dell’ammirazione oppure l’altra, stavolta propinqua, dell’immobilità o dell’arresto, del ristagno o del congelamento: un moto di stupore, magari intenso a tal punto da rammentare l’urlo di Munch, può frizzarmi come se in quel momento fossi oggetto di un fermo immagine.

Di stupro, ancora oggi, si dovrebbero riscrivere certe definizioni: «Atto di violenza sessuale, rapporto carnale ottenuto e consumato con violenza o minaccia a danno di persona adulta o consumato (anche se in base a un apparente consenso) in danno di bambini e di infermi di mente.

– In partic.: secondo la morale cristiana medievale e nel diritto antico, rapporto sessuale con una donna vergine al di fuori del matrimonio, soprattutto se contro la sua volontà» (Grande Dizionario della Lingua Italiana, fondato da Salvatore Battaglia, diretto da Giorgio Bàrberi Squarotti, Torino, Utet, 1961 2002, 21 voll., s. v. stupro). Siamo sempre lì. Talora la vittima di uno stupro (occhio ai due corsivi della citazione, entrambi miei), quando non è complice, può comunque avere le sue colpe: se è in tenera età, o è un disabile mentale, potrebbe non essersi difesa al pari di un adulto o di una persona capace di intendere e di volere; se è una donna (illibata) l’atto sessuale potrebbe essersi consumato col suo consenso.

Nel secondo caso la definizione, debitrice del lontano passato, ha un puntuale riscontro nello Specchio de’ peccati del religioso Domenico Cavalca, educatore di gentili donzelle vissuto a cavallo fra Duecento e Trecento. Catalogava lo stupro tra le forme di lussuria, descrivendolo così: «quando l’uomo fa villania ad alcuna vergine e, se è per forza, allora si è vie peggio». Corsivo sempre mio.

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