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I vescovi, l'autonomia differenziata e la lezione di don Luigi Sturzo

di Corrado Ocone venerdì 8 marzo 2024

3' di lettura

Chissà se i vescovi siciliani che hanno stilato un durissimo documento contro il disegno di legge sull’autonomia differenziata che è in itinere nelle Camere sanno che un prete loro conterraneo è stato uno dei più illustri fautori del federalismo? E che quell’idea, che è alla base di ogni progetto di autonomia, egli perorò in scritti di profonda cultura e assoluta fedeltà al messaggio cristiano?

Il nome di quel prete era Luigi Sturzo, padre del cattolicesimo politico italiano, antifascista costretto all’esilio in America (ove apprezzò ancor più l’idea federalista), uomo di assoluta fede democratica. Il quale, al contrario degli estensori del documento, aveva anche il pregio della chiarezza nello scrivere, facendosi capire da tutti. Insisto su questo aspetto perché il testo licenziato dalla Conferenza Episcopale Siciliana usa un linguaggio contorto, di difficile comprensione, motivato per lo più da pregiudizi piuttosto che argomentato in maniera rigorosa. Inoltre, è pieno di condizionali, cioè di pericoli paventati piuttosto che di argomentate certezze.

Anzi, i pericoli sono sostanzialmente solo due per i vescovi siciliani: che l’unità nazionale si spezzi e le diseguaglianze aumentino, che è un po’ anche il refrain della sinistra politica e dei tanti sedicenti meridionalisti che alzano in questi giorni la voce dimenticandosi della lezione dei Salvemini, Dorso e Zanotti Bianco.

OPINIONI E CONTRADDIZIONI - L’autonomia – scrivono i vescovi–potrebbe «portare a colpire in forma grave l’unità nazionale in favore di preoccupanti spinte secessionistiche istituzionalizzate». Una opinione, in verità, non solo indimostrabile teoricamente, ma anzi contraddetta dalle maggiori esperienze di federalismo che ci presenta la storia. Proprio Sturzo indicò con precisione le potenzialità che un federalismo ben studiato può arrecare: da una parte responsabilizzando le amministrazioni locali e le classi dirigenti meridionali al buon uso delle risorse; dall’altro rendendo lo Stato centrale più forte proprio perché non sottoposto alle spinte particolaristiche che emergono dai territori e che nei territori sarebbe giusto risolvere.

Ora si può ben criticare l’attuale progetto di autonomia differenziata, chiedendo modifiche e miglioramenti anche sostanziali, ma sarebbe giusto farlo in nome di un’idea di decentramento e sussidiarietà che è propriamente cristiana. Non in nome di quel centralismo statalistico che è stato sempre inviso al pensiero cristiano. L’aspetto però più eclatante della vicenda è che Avvenire, l’organo nazionale dei vescovi, ha dato ieri un’enorme spazio all’esternazione vescovile, dedicandovi un’intera pagina e un’apertura in prima molto ambigua. Sotto il titolo «Il Sud chiama», il quotidiano ha infatti affiancato la notizia del documento a quella di una possibile (e tutta da dimostrare) riorganizzazione della mafia in alcuni quartieri palermitani. Quasi a voler suggerire ai lettori che si tratta di due “pericoli” equiparabili o collegati. Perché questa caduta di stile? Perché, soprattutto, questo intervento a gamba tesa nel dibattito pubblico?

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FEDE E POLITICA - Non credo difficile scorgervi motivi politici in senso stretto: oggi una parte del clero è nemica del governo in carica ed è pronta a far propri, senza adeguata riflessione, molti dei miti e degli slogan politici del progressismo imperante.

Non dubito che un’altra parte, altrettanto consistente, del mondo cattolico non condivida questa scelta di campo. Ed è anche giusto che nella Chiesa ci sia il massimo del pluralismo e che tutte le sensibilità siano rappresentate. Quello che però preoccupa è l’adesione anche di una parte del mondo cattolico a quella cifra del nostro tempo che è la banalizzazione e stumentalizzazione delle questioni. La Chiesa avrebbe invece a disposizione strumenti di riflessione plurisecolari che le permetterebbero di apportare profondità e ragionamento anche in molti temi del giorno. Che la crisi del mondo cattolico, e anche dell’istituzione, non sia anche legata al venire di questa funzione, utile e salutare per tutti?

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