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Posti di blocco, a migliaia nelle chat di WhatsApp per segnalarli

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Claudia Osmetti
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Una volta si facevano i fari. Erano anche più “romantici”. Quasi un ammiccamento. Hey-bellezza-sta-attenta-che-c’è-un-posto-di-blocco-dietro-l’angolo. Un cenno d’intesa, alla vecchia maniera. Sono cambiati i tempi. Adesso non prestiamo più attenzione a quello che succede nel nostro, di abitacolo, figuriamoci fuori. Quel briciolo di concentrazione in più lo mettiamo nelle operazioni di guida, il resto si riversa nello schermo del telefono. E anche i fari sono diventati cellulari. «Posto di blocco uscita Capaci, direzione Mazara. Mi hanno appena fermata (faccina che ride)». «Ce n’è uno in stazione centrale, doppia pattuglia». «Per chi esce da viale dell’Olimpo evitare Addaura e Favorita, okay viale Regione». Messaggi, poche righe spesso telegrafiche, lasciati sui gruppi social, creati con esattamente questo scopo, avvisare chiunque passi. Unica condizione: avere lo smartphone a portata di volante.


Queste (le segnalazioni di Capaci, stazione centrale e viale dell’Olimpo) riguardano Palermo. Sono state condivise in giorni e orari differenti, tutte però nell’ultima settimana, su un canale Telegram che già nel titolo dice quello che fa: “Posti di blocco Palermo”. Ma ne esistono centinaia. Anche su altre piattaforme (come Whatsapp o servizi criptati). Anche su invito (cioè non accessibili direttamente). Anche in altre città. A Terni, in Umbria, meno di tre settimane fa, gli investigatori della Digos hanno chiuso una chat identica: “Posti di blocco Tr”, dove Tr sta appunto per Terni e dove gli iscritti toccavano quasi i 4mila, cioè erano 3780, che su una popolazione di circa 108mila abitanti significa che all’incirca il 4% ne faceva parte (il gruppo di Palermo, per il momento, raggiunge a malapena i 200 contatti: però è nato da poco e non è l’unico nella zona). Nella Bergamasca sono un po’ più furbi: una chat simile c’è, ma ha un nome assai più generico (“Traffico e viabilità”) e la partecipazione deve essere approvata, a gennaio contava un migliaio di contatti. Attenzione -pattuglie -di -qui; occhio-ai-carabinieri-di-là. In provincia di Mantova, qualche mese fa, ce n’erano almeno due (perché il primo gruppo su Whatsapp aveva raggiunto il limite massimo di utenti): tuttavia l’amministratore, lo stesso, s’è beccato una denuncia per, tra le cose contestate, interruzione di pubblico servizio, quando le forze dell’ordine si sono accorte che tra i suoi followers non c’erano mica solo furbetti dell’acceleratore, ma anche pregiudicati che cercavano di eludere i controlli della polizia. Napoli e Verona, Brescia e Trento, segnalazioni che si rincorrono, notifiche che si ammassano, telefonini che squillano: negli ultimi mesi, e pure negli ultimi anni, c’è chi ha iniziato addirittura prima della pandemia, il fenomeno è diventato una moda che è diventata un passaparola che è diventata un’abitudine (esattamente come quella dei fari negli anni Novanta).

 

 


Tuttavia è legale? Ni. L’articolo 45 comma 9-bis del Codice della strada prevede una multa fino a 3.305 euro per chi «segnala o fa uso di dispositivi informatici che informano della presenza o consentono la localizzazione delle postazioni di controllo elettronico della velocità». La legge, quindi, parla espressamente solo degli autovelox. Un avvocato, insomma, rileverà che la semplice adesione a una chat sui posti di blocco non può essere sanzionata, ma attenzione. Anzitutto non si devono segnalare i tutor, i telelaser e gli autovelox. In secondo luogo nel maremagnum dei gruppi sui servizi di messaggistica immediata ci si trova la qualunque. Il neo-patentato che fa lo spaccone avvisando circa i posti di blocco della statale, ma anche il pusher che fiuta le opportunità della rete e, tra un sms e l’altro, anche se c’entra nulla, prova a piazzare merce che di legale non ha manco l’odore. Lui magari usa un telefono intestato a qualcun altro, mentre il gestore della chat finisce per passare i guai.

 

 

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