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I giudici scarcerano 5 irregolari in un solo giorno: "Misura sproporzionata", scoppia il caso

di Fabio Rubini mercoledì 28 agosto 2024

3' di lettura

Il 27 agosto scorso il Tribunale civile di Palermo non ha convalidato il fermo di cinque clandestini di origine tunisina che era stato disposto dal questore della provincia di Agrigento. In tutti e cinque i casi il provvedimento riguarda persone che all’atto dello sbarco a Porto Empedocle, avevano presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale. I giudici che hanno decretato la non convalida dello stato di fermo, Sara Marino ed Eleonora Bruno, si richiamano al decreto legislativo numero 25 del 2008 che stabilisce come «il trattenimento può essere disposto qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero presti idonea garanzia finanziaria».

Ecco, il punto è che quel decreto dice che si “può” trattenere e non che si “deve” trattenere. Per questo, scrive il giudice Sara Marino «la facoltà di disporre il trattenimento rappresenta l’esercizio di un potere discrezionale, che va giustificato ed argomentato, anche in considerazione della circostanza che la misura incide sulla libertà personale dell’individuo». Tale interpretazione, si legge ancora nella sentenza «è in linea con i principi della direttiva europea e della giurisprudenza della Corte di Giustizia (...) secondo cui il trattenimento va disposto “soltanto nelle circostanze eccezionali”, “in base ai principi di necessità e proporzionalità”, “come ultima risorsa”, “sulla base di una valutazione caso per caso”, “sempre che non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive».

Per tutto questo, scrive il giudice «il Tribunale sottolinea che l’obbligo di tenere conto di altre misure alternative al trattenimento è un dovere che va esercitato dall’autorità amministrativa sulla base di una valutazione caso per caso». Infine viene richiamata la direttiva europea che prevede che il trattenimento può essere applicato «solo dopo che tutte le misure non detentive alternative al trattenimento sono state debitamente prese in considerazione». In conclusione «alla luce di tali argomentazioni, il provvedimento emesso dal Questore di Agrigento non può essere convalidato, in assenza della dovuta motivazione sulla necessità del trattenimento, sulla sua proporzionalità e sull’impossibilità di fare efficace ricorso alle altre misure alternative, di tipo non coercitivo». Anche le sentenze del giudice Eleonora Bruno si basano sui medesimi presupposti delle precedenti. Cambia, ovviamente, la formula finale. Scrive il magistrato: «La motivazione del provvedimento di trattenimento appare carente, non essendovi alcun riferimento alla situazione individuale del richiedente protezione internazionale; ritenuto in definitiva che nel caso in esame il provvedimento di trattenimento non risulta adeguatamente motivato con riferimento alla necessità di disporre il trattenimento quale unica misura necessaria a garantire lo scopo normativo previsto dall’art. 6 bis del d. lgs. 142/2015, ossia accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato durante lo svolgimento della procedura in frontiera, e ciò anche in considerazione del contegno tenuto dal richiedente al momento in cui è stato fermato, del fatto che il medesimo ha dichiarato di volersi avvalere della garanzia finanziaria e della circostanza che non risultano neanche decorsi i termini previsti dalla legge per poterla prestare; ritenuto, pertanto, alla luce delle superiori considerazioni, che il provvedimento di trattenimento non può essere convalidato». La vicenda delle cinque scarcerazioni ha richiamato alla mente un’altra vicenda che ha tenuto le prime pagine dei giornali per settimane. Era quella relativa al giudice del Tribunale di Catania Iolanda Apostolico, che si era resa protagonista di una serie di scarcerazioni di migranti. A fare notizia, però, non furono tanto quegli atti (poi confermati dalla Corte di Cassazione), quanto dalle polemiche politiche scaturite dalla diffusione da parte della Lega di alcuni video nei quali la giudice al grido di «Siamo tutti antifascisti» partecipava ad una manifestazione indetta per il caso Diciotti al porto di Catania. Ma questa è tutta un’altra storia.

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