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Se Napoli si rivolta per "l'erezione" dell'opera di Gaetano Pesce

Luca Beatrice
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Non c’è città più ironica, anzi sarcastica e acuta di Napoli. La filosofia di vita sotto il Vesuvio è improntata su una visione disincantata, lì trova linfa la commedia dell’arte e qualsiasi provocazione viene seppellita da una risata. C’è solo da immaginarselo cosa avranno detto e pensato i partenopei all’erezione - non c’è definizione migliore- della scultura di Gaetano Pesce, una torre di 12 metri issata ieri a piazza Municipio, dove nel giugno scorso una nuova edizione della Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto venne incendiata da un gesto vandalico.

Tu si ‘na cosa grande è il titolo, ispirato ovviamente alla canzone di Domenico Modugno, che di sicuro non attenuala malizia. ‘Sto coso (meglio di cosa) grande risulta prima di tutto un fallo gigante, poi sarà anche la rivisitazione dell’abito di Pulcinella, “guarda stu Pesce”, parafrasando un altro pezzo meno nobile, Agata di Nino Ferrer. Certo, in un tempo in cui si tiene il conto delle poche statue che omaggiano le donne, della toponomastica urbana che trascura la presenza femminile, il coso grande non può sfuggire alla lettura più ovvia: trattasi di monumento alla fallocrazia. I commenti sui social non sono stati così raffinati, ma il senso è sempre quello. «Quando sarò ricco mi farò costruire una torre a forma di cazzo», diceva il giovane Javier Bardem protagonista in Uova d’oro dell’indimenticabile Bigas Luna. Siamo esattamente da queste parti.

Per carità, parliamo di Gaetano Pesce, artista e designer geniale che amava molto Napoli e quest’opera l’aveva pensata a lungo prima di morire; alta così può stare solo in una piazza pubblica, in un museo acquisirebbe tutt’altro significato, e quindi il ragionamento si fa più ampio: cosa mettere in uno spazio condiviso? Che carattere devono avere le proposte? Non sarebbe meglio arrivarci dopo un lavoro di contestualizzazione, di studio, invece di lanciare voluminosi oggetti- spesso in luoghi aulici come fossero alieni?

Sta passando una logica che non va troppo bene. Basta che se ne parli, dicono le autorità cittadine. Se si discute, e ci si divide, significa che l’opera ha già raggiunto il suo scopo. In verità non è proprio così, se una cosa è brutta resta tale e non saranno certo i commenti dal vivo o sui social a farci cambiare idea. Se invece di essere firmata Gaetano Pesce, perché nell’arte come nella moda conta la griffe, fosse stata proposta da un outsider l’erezione non si sarebbe mai eretta. Il maquillage urbano, l’arte pubblica, dovrebbe comunque migliorare il contesto o quantomeno armonizzarsi a esso. Continuare a parlare di provocazione non ha senso, l’arte ha altri compiti, in primis quello della bellezza: ridere, scatenare ironia, stuzzicare sono effetti collaterali non sempre necessari. E qualcuno a Napoli si è sentito trattato male: dopo la riproposizione di un vecchio lavoro di Pistoletto, datato 1967, 12 metri di Gaetano Pesce, esagerati e prepotenti. Il trionfo del priapismo, che quando capita a un uomo anziano suona inevitabilmente patetico. A meno che non ci sia un significato apotropaico e il coso grande serva per gli scongiuri. Il Napoli è in testa alla classifica, sai mai che porti fortuna.

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