Dopo la pubblicazione delle fotografie dei bambini dell’asilo paritario di Ponte della Priula, nel trevigiano, che pregano inginocchiati sul tappeto all’interno di un centro islamico, si è mosso il ministero dell’Istruzione e del Merito guidato da Giuseppe Valditara, che ha dato mandato all’ufficio scolastico regionale diretto da Marco Bussetti, ex ministro dell’Istruzione nel governo Conte uno, di verificare l’accaduto. E l’ufficio, con una nota, ha fatto sapere che «pur in attesa che si definiscano meglio i dettagli dell’accaduto, su incarico degli uffici centrali del ministero, abbiamo avviato gli opportuni approfondimenti, tesi in particolare a verificare se siano state rispettate, tra l’altro, le norme sulla parità scolastica». L’istituto veneto, infatti, non è pubblico, ma privato di orientamento cattolico. Questo però non lo esime dai controlli degli uffici scolastici regionali.
A fare scalpore, è bene ricordarlo, non è stata tanto la gita organizzata dalla scuola, quanto la foto che vede i bambini simulare la preghiera islamica alla presenza dell’imam che, si legge sulla pagina social dell’istituto, «ci ha spiegato (...) che loro pregano 5 volte al giorno (ci abbiamo provato anche noi)», a pregare. La scuola ha provato a difendersi, minimizzando l’accaduto. La direttrice, Stefania Bazzo, ha detto al Corriere del Veneto che «è stato un momento bellissimo», mentre una delle insegnanti, Stefania Pillon, ha ribadito che essendoci nell’istituto bambini di diverse etnie «di cui spesso sappiamo poco», si è deciso «di portare i nostri bambini in moschea per far conoscere loro meglio un aspetto della vita quotidiana dei loro compagni». Dall’istituto si insiste molto anche su un altra questione: il rapporto di dialogo stretto che c’è tra l’imam e il parroco e si ricorda di come lo scorso ottobre, proprio nel centro islamico sia stato organizzato il primo appuntamento della “Giornata del dialogo Islamo-Cristiano”, al quale partecipò anche l’allora vescovo di Vittorio Veneto Corrado Pizziolo.
Tutte cose lodevoli, che cozzano però con quell’immagine che riporta molto a un’dea di sottomissione culturale e religiosa. Non va dimenticato, infatti, che quella islamica, è l’unica grande religione monoteista a non aver firmato il Concordato con lo Stato italiano. Un documento che da un lato riconosce diritti alla religione firmataria, ma dall’altro chiede ad essa di sottostare alle regole del codice civile e penale vigenti nello Stato italiano.
CORO DI CRITICHE
È anche per questo motivo che, una volta viste le fotografie, da più parti si sono alzate voci critiche. Non solo politiche. Uno dei primi a commentare l’iniziativa della scuola è stato il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni: «Noi portiamo i bambini di tutte le scuole pubbliche a visitare il museo e la Sinagoga per far loro capire cos’è la presenza di duemila anni della comunità ebraica a Roma. Ma certo non li facciamo partecipare alla preghiera.
Ogni visita in un luogo di culto - prosegue Di Segni- deve avere il sapore della convivenza, in termini di condivisione, non di indottrinamento».
Sotto il profilo politico è stata ancora la Lega a tornare sulla vicenda. L’europarlamentare Anna Maria Cisint parla di «ennesima scena di sottomissione ideologica», con «bambini portati in una moschea molto probabilmente irregolare - costretti ad inginocchiarsi verso la Mecca». Chiede Cisint: «Chi ha autorizzato tutto questo? I genitori erano stati informati davvero osi è agito di nascosto? Qui non si parla di educazione, ma di fondamentalismo bello e buono, con un imam che non ha perso l’occasione di “catechizzare” i giovani alunni». Per questo Cisint scriverà al sindaco: «Voglio sapere chi ha autorizzato questa follia e pretendo un controllo immediato su quella moschea». Sulla stessa linea la collega Silvia Sardone, da anni nel mirino dei fondamentalisti proprio per le sue battaglie contro la radicalizzazione islamica: «Questo episodio è solo l’ultimo esempio di una preoccupante deriva: l’islamizzazione strisciante della scuola italiana. Altro che integrazione e conoscenza delle altre culture: si rischia di usare la scuola per una resa senza condizioni ai valori dell’Islam, che spesso, a partire dalla libertà delle donne, sono in netto contrasto con i nostri valori occidentali».
Fratelli d’Italia interviene nel dibattito con la deputata Elisabetta Gardini: «Vogliamo credere che l’iniziativa sia nata con l’intenzione di promuovere il dialogo interreligioso e un messaggio di pace. Ma se di dialogo si tratta, è doveroso ricordare che, come ha ben chiarito Papa Benedetto XVI, esso “non può esistere senza reciprocità”. Oraci aspettiamo che i bambini musulmani vengano accolti nella chiesa parrocchiale, si inginocchino sui banchi e preghino con il parroco.
Altrimenti, più che dialogo, si tratterebbe dell’ennesimo gesto unilaterale, che rischia di trasformare l’apertura in sottomissione culturale».
I PRO GITA Poi ci sono quelli che stanno dalla parte della scuola. Chi? Il Pd, Avs e l’Ucoii. Nessuna sorpresa. L’onorevole dem Rachele Scarpa- la stessa che partecipò al viaggio in Albania per ispezionare i centri voluti dal governo - ha spiegato che «a questo deve servire la scuola, a far conoscere per insegnare a capire e ad accettare. È bello che sia la scuola a creare ponti». La capogruppo alla Camera di Avs, Luana Zanella, ci fa sapere che si tratta di «polemiche davvero grette. Scambiare una gita culturale in moschea per “indottrinamento” è segno di una povertà di pensiero molto grave».
Sull’argomento è intervenuto anche Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche in Italia: «Trovo preoccupante che una visita didattica in moschea, organizzata con sensibilità ed intelligenza pedagogica da una scuola per l’infanzia, venga trasformata in oggetto di polemica politica». Lafram parla poi di «un gesto semplice, ma ricco di significato, che parla ai bambini e ci ricorda che non esiste integrazione senza il riconoscimento e il rispetto reciproco».