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Dante insegna la leadership ai manager

Un saggio mostra come "Commedia", "Canti" e "Promessi sposi" spiega ai dirigenti motivazione, comunicazione e ambizioni
di Luca Nannipieri martedì 6 maggio 2025

4' di lettura

Come tanti di voi, alla fine della scuola, non ne potevo più dei padri della letteratura italiana. Non potevo vedere né leggere Dante, Leopardi e Manzoni. Troppo obbligati, troppo imposti, per diventare amore. Però poi è passato del tempo e quelle letture obbligate, proprio perché allora mi erano state imposte come prioritarie, le ho riscoperte. L’amore può nascere dall’obbligo mentre dal niente nasce solo il niente, la dimenticanza. Non finirà nella dimenticanza un prezioso libro, dal titolo Consideriamo la nostra semenza. Dante, Leopardi, Manzoni e il management (Il Mulino, pp.294, 30 euro). Lo ha scritto Irene Sanesi, economista della cultura, revisore legale, presidente dell’Opera di Santa Croce a Firenze, la fabbriceria che gestisce una delle maggiori basiliche italiane, dove sono sepolti Michelangelo, Rossini, Ugo Foscolo, Galileo, in cui vi è il cenotafio di Dante Alighieri. Lo scopo del libro è inaspettato: rivelare come i classici possano essere strumenti di lavoro e di ispirazione per la vita in azienda. Cosa c’entrano Leopardi, Dante e Manzoni con conteggi, fatture, pianificazioni, amministrazioni, incremento dei profitti, efficienze nelle gestioni imprenditoriali? C’entrano. «I classici sono i nostri migliori esperti alternativi». Una bellissima definizione: i migliori esperti alternativi. Non ti danno la soluzione del problema, ma offrono gli strumenti adeguati per capire i problemi nella loro complessità e affrontarli.

«Un manager, un imprenditore, un economista che si sono nutriti di humanities e che continuano a scegliere i classici per la loro formazione permanente sono verosimilmente delle persone migliori». Secondo Sanesi, attraverso una lettura consapevole di Dante, Leopardi e Manzoni, è possibile per i futuri imprenditori rivedere i quattro concetti chiave del management: «la strategia, la leadership, la comunicazione e l’aspetto aspirazionale, ovvero la motivazione, il desiderio». Prendiamo il caso di Dante. L’autrice, con argomentazioni ben documentate e convinte, rilegge la Divina Commedia e consiglia questo ai futuri imprenditori: trovare, nelle terzine dantesche, non soltanto la matrice più profonda del loro essere uomini (questo lo fa anche la scuola), ma anche gli strumenti intellettuali per poter operare nel loro lavoro aziendale. Le cantiche dantesche sono un’architettura complessa, coordinata secondo una strategia, per avviare il lettore, insieme al poeta, nel sommo cammino. Il viaggio di Dante è un’impresa «che fu nel cominciar cotanto tosta», proprio perché riesce miracolosamente a tenere questa architettura d’insieme, che trascina il lettore dal profondo nero a riveder le stelle. Senza questa strategia complessiva, la Commedia forse sarebbe stata solo una collettanea di aforismi, buona per Google. Gli imprenditori imparino. Anche sulla leadership Dante rivela caratteristiche inaspettate: «Virgilio è un leader che trasferisce in maniera assertiva uno stile che, nell’Inferno, necessita di imperativi per infondere sicurezza, coraggio e tensione verso la meta. A volte, nella vita di un’azienda, vi sono momenti nei quali le persone hanno un bisogno particolare, dopo aver riconosciuto il loro leader: quello di trovare conferme. La leadership, per essere buona ed efficace, ha la necessità di diffondersi nei livelli dell’organizzazione così da non dipendere in maniera esclusiva da qualcuno perché, ancor più, ha necessità di essere costante e durevole».

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Dopo Virgilio che infonde sicurezza, coraggio e tensione, dopo il Purgatorio, Dante giunge al Paradiso e incontra i grandi personaggi fondatori degli ordini mendicanti, ovvero San Domenico e San Francesco. Nel descriverli, il poeta individua un’altra dote del leader: «La buona leadership ha uno stile che non offusca, non annulla, non nasconde, anzi, dà luce, fa emergere, conduce fuori: uomini siate e non pecore matte». Ma Dante insegna al management anche la comunicazione: «la ricerca, quasi spasmodica, della parola giusta, azzeccata, per significato, contesto, suono: come fosse lingua che parlasse». Scrive Sanesi: «Quante volte i leader, i manager, gli imprenditori si sono trovati di fronte alla sfida di accendere i cuori e, così facendo, rendere visibile agli occhi le distanze e le differenze del team, la necessità di una critica come sprone per migliorarsi. Ma dove trovare le parole?». La scelta delle parole in una comunicazione deve essere ricercata e ponderata, deve convogliare l’attenzione di chi sta ascoltando.

Esattamente come insegna Dante. Ma il poeta illumina anche il più complesso dei concetti chiave del management: la motivazione, il desiderio. M’insegnavate come l’uom s’etterna. Senza l’aspirazione individuale a compiere un tragitto che si sente più grande di noi stessi, ogni manager si trasforma in un arido gestore.
Seguendo questo tracciato di rilettura, Irene Sanesi interpreta anche i Canti leopardiani e le gesta manzoniane: «Non saranno solo gli specialismi a traghettare le imprese in avanti, anche perché nell’accumulazione di saperi specialistici e parcellizzati può annidarsi la possibilità di nuove ignoranze». Unire i classici al management non è un modo per spiegare meglio i classici, ma per infondere una conoscenza più complessa ai manager sul destino umano.
Non a caso Sanesi chiude il libro ricordando la ninnananna che fa ai suoi figli: «La sera, per addormentarli, intonavo qualche brano di Dante e Manzoni come antiche cantilene. Da adulti quali stanno diventando, potranno rinunciare all’arte e alla poesia, sono però certa che non perderanno quanto da esse hanno appreso». La letteratura ispira, motiva e cura: prescriviamo ai manager (e non solo) i classici.

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