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La cassazione: legittimi i trattenimenti in Albania

La prima sezione penale, infatti, ha accolto il ricorso presentato dal ministero dell’Interno e dalla questura di Roma contro la decisione della corte d’appello della Capitale
di Tommaso Montesano sabato 10 maggio 2025

3' di lettura

 tre cittadini tunisini arrestati a Roma con l’accusa di violenza sessuale di gruppo dopo il concerto del Primo Maggio sono stati espulsi. La misura era stata chiesta dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, subito dopo i fatti di piazza San Giovanni. I tre uomini, tra i 22 e i 25 anni, erano entrati in Italia con una richiesta di soggiorno per motivi di studio (erano iscritti all’università di Roma Tre). Fermati dai poliziotti del commissariato Esquilino e poi rilasciati, per loro erano scattate le verifiche dell’ufficio immigrazione della questura, che ha annullato i percorsi di regolarizzazione. Ieri pomeriggio, dopo il trattenimento presso il Centro di permanenza per il rimpatrio emesso dalla questura, è arrivata la convalida del giudice al provvedimento di rimpatrio e, quindi, l’espulsione «con procedura immediata». I tre giovani, approfittando della folla e della confusione, avevano molestato una ragazza dopo averla circondata. Grazie all’azione tempestiva delle Forze dell’ordine, erano stati identificati.

La notizia arriva nel giorno in cui l’esecutivo incassa una vittoria sul “modello Albania”. La prima sezione penale della Corte di Cassazione, infatti, ha accolto il ricorso presentato dal ministero dell’Interno e dalla questura di Roma contro la decisione della corte d’appello della Capitale, che lo scorso 19 aprile - in composizione monocratica non aveva convalidato il trattenimento del marocchino A.H. presso il centro permanenza per i rimpatri (Cpr) di Gjader, in Albania. Motivazione: il fatto che il cittadino extracomunitario, che si trovava a Gjader in attesa di essere espulso, nel frattempo avesse presentato domanda di protezione internazionale cambiando, così, «la propria condizione giuridica».

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Una pronuncia salutata con giubilo dalle organizzazioni che si battono per i diritti dei migranti. Ad esempio su Melting pot Europa «per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza», ecco l’esultanza per una «lacuna normativa che potrebbe compromettere il funzionamento del “modello Albania”». Mai uso del condizionale fu più saggio, visto che due giorni fa la prima sezione penale della Suprema corte ha stabilito che il trattenimento del cittadino marocchino in Albania è «legittimo anche dopo la presentazione della domanda» di protezione, visto che il centro di Gjader «va equiparato, a tutti gli effetti, ai centri previsti» dal Testo unico sull’immigrazione del 1998.

Una equiparazione «incontestata», scrivono il consigliere estensore, Giorgio Poscia, e il presidente della sezione, Giacomo Rocchi, visto che «legaranzie per il cittadino extracomunitario sono le medesime a prescindere dal Cpr in cui si trova». Un punto a favore di Giorgia Meloni, che al Senato, nel corso del “premier time” del 7 maggio, aveva denunciato la tendenza di «alcuni tribunali» di disporre il «ritrasferimento in Italia» dei migranti che presentano «una domanda di protezione internazionale, anche quando questa sia manifestamente infondata». Favorendo il rientro di soggetti responsabili «di reati molto gravi».
La sentenza dell’8 maggio è stata subito recepita dalla corte d’appello di Roma, che ieri ha convalidato i decreti di trattenimento a Gjader di M.B., cittadino pakistano, e di W.Y., algerino, eccependo in entrambi i casi la «strumentalità della richiesta di protezione internazionale». Lo stesso giudice monocratico, però (Giuseppe Molfese), ha invece accolto il ricorso presentato da M.A., di nazionalità algerina. In questo caso la domanda di protezione è giudicata legittima a causa dell’omosessualità del migrante, condizione che in Algeria è considerata illegale.

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