Heysel probabilmente è un punto di non ritorno della storia del calcio. Abbiamo voluto costruire un memoriale per cercare di togliere l’elemento tragico per parlare di speranza, per parlare di futuro, per parlare di Altrove». Si sono rivelate profetiche le parole di Luca Beatrice, quelle con le quali apre il documentario (visibile anche su Sky Arte) prodotto dallo Juventus Creator Lab a corredo del monumento per i Caduti dell’Heysel - Verso Altrove, appunto - inaugurato negli spazi della Continassa, la casa della Juventus, l’iniziativa più significativa delle tante andate in scena proprio nel giorno dell’anniversario.
Quarant’anni ieri dalla tragica finale di Coppa dei Campioni a Bruxelles finita con 39 morti; poco più di quattro mesi dalla scomparsa del nostro Beatrice (il 21 gennaio): in entrambi i casi, tuttavia, l’assenza si fa presenza. Luca, che artista «L’ lo era pennellando le parole e le intuizioni dello sguardo, mette la firma concettuale su questa opera d’arte pubblica la cui stessa realizzazione diventa costruzione della memoria condivisa e che adesso regala a Torino, città ahilèi avvezza alle tragedie calcistiche, un altro sancta sanctorum.
LUCE, VISIONE
La Juventus, della quale era notoriamente appassionato quanto lucido e critico tifoso, gli aveva affidato il compito di dare forma alla necessità di celebrare quel drammatico evento. I concetti da lui indicati erano perciò gravitati essenzialmente attorno alla volontà di seguire una via fra elementi naturali, dinamicità, partecipazione delle persone. Agli artisti ammessi alla gara indetta per l’assegnazione era stata raccomandata la parola “luce”: «Proposi artisti che avessero una certa esperienza, capaci di affrontare lo spazio pubblico senza l’ombrello protettivo dell’arte contemporanea, del museo, che in qualche modo tutela l’arte», raccontava Beatrice, «se uno guarda l’opera con attenzione, si prende il tempo di camminare in mezzo agli alberi, di salire sulla rampa, di odorare il legno, di guardare se è notte le stelle da lontano, allora forse avrà una visione ancora più simbolica, ancora più complessa, ancora più delicata, ancora più emotiva e ancora più commovente. Se l’arte non è utopia, se non è visione del Mondo, se non è speranza, allora che cos’è?».
Luca Vitone, artista contemporaneo fra i più apprezzati e colui che materialmente ha dato anima e materia al monumento, ha tradotto questa raccomandazione semplice quanto esigente in una sorta di porta spazio-temporale, una rampa a spirale lunga 66 metri che si innalza fino a 5,20 metri da terra con vista sull’Allianz Stadium, attraversando una radura verde punteggiata da cespugli di lavanda e esemplari di Ginkgo Biloba, alberi della resistenza, della memoria, della sopravvivenza. Una base in cemento che dà forza, le pareti svasate in listelli verticali di legno che accompagnano il cammino facendo filtrare lo sguardo, la luce al neon che segue il percorso rendendolo visibile anche nell’oscurità, un traccia nel buio a marcare la sua specificità di punto di riferimento: «È un invito a riflettere sulla propria esistenza, un cammino che, quando finisce, in realtà non finisce ma va avanti», spiega Vitone. Infatti al termine dell’ascesa, allo stesso tempo fisica e metaforica, che anche inconsciamente porta a guardare verso l’alto accrescendo passo dopo passo un’emozione intima, chi sale trova ad attenderlo un cannocchiale con le lenti rovesciate, regolabile in altezza: è questa una mano tesa, una parola pronunciata da un amico che simbolicamente ci chiede di guardare non ciò che è vicino, ma ciò che è lontano, suggerendo un passaggio dallo spazio fisico a quello interiore.
IL DESTINO
Vero, qui c’è tanta Juventus ma un approccio laico porta rapidamente a non fermarsi ai colori della maglia: il sangue che ha lordato quel 29 maggio 1985 il bianconero assurge a patto non scritto che invita tutti a non dimenticare, sebbene tante volte abbiamo sentito gridare forte «mai più», salvo poi trovare nuovamente le cronache piene di altre follie legate al pallone. Per gli imperscrutabili intrecci del destino, Verso Altrove è stato concepito come incentrato sul senso stesso di vita e morte: rimarrà come una sorta di testamento spirituale e culturale di Beatrice