Maronna che bordell’! Il Gay Pride di Napoli rischia di terminare malamente. Di più: potrebbe non cominciare proprio. Cosa? È uno scandalo! C’era da scommetterci, quei fascistacci del governo vogliono boicottarlo, sono intolleranti, oscurantisti, le destre anzi le destre-destre sopprimono i diritti, siamo messi peggio dell’omofoba Ungheria di Orbán: la Meloni vada in aula a riferire! Non basta: la Meloni faccia qualcosa! No, no, un attimo... Scusateci, errore nostro: apprendiamo che le cose stanno in modo diverso. Il Gay Pride di Napoli, che ormai non soltanto a Napoli viene chiamato solo Pride, rischia la cancellazione non per il pericolo delle camicie nere ma perché nella comunità arcobaleno campana è scoppiato il finimondo. Parte del mondo Lgbtqia+ (lesbiche, gender, bisessuali, transessuali, queer, intersessuali, asessuali e il “+” include tutte le altre identità di genere non citate ma non sappiamo quante siano) accusa il presidente Antonello Sannino di parteggiare per Israele, dov’è bloccato perché voleva partecipare al Gay Pride di Tel Aviv, poi il corteo è stato annullato a causa della guerra con l’Iran e il Sannino oggi è in un bunker in attesa di rimpatrio.
Il Napoli Pride è previsto per il 5 luglio, anticipato la settimana prima dal Pride Park in programma al Real Albergo dei Poveri, in piazza Carlo III. E però è una gragnuola di defezioni, e tra queste c’è quella dell’Atn, l’Associazione transessuale Napoli: «Non parteciperemo e usciamo ufficialmente dalla piattaforma fino a oggi costruita collettivamente con gli altri gruppi», hanno scritto in un comunicato. «È una decisione molto sofferta», ha aggiunto l’Associazione transessuale, «ma crediamo che in questo momento non ci siano le condizioni per procedere insieme in questo cammino. Siamo state messe davanti a un aut aut», denunciano, «o dentro o fuori, e noi abbiamo messo una sola condizione, mettere nella piattaforma politica una semplice frase: “Basta genocidio, Palestina libera”. Il Pride nasce come una rivolta politica delle persone trans, e oggi non possiamo che essere al fianco della Palestina».
Pure l’associazione i-Ken è perentoria: «Sentiamo il bisogno di ribadire con fermezza che ogni forma di collateralismo con governi coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani non può avvenire in nostro nome. Per questa ragione», ecco l’atteso annuncio, «non parteciperemo al Pride e rivendichiamo con chiarezza di non far parte del comitato organizzatore. Crediamo», è l’amara conclusione, «che sarebbe stato altrettanto grave e doloroso prendere parte a una parata festosa come quella di Tel Aviv mentre a pochi chilometri si consuma, ogni giorno, una tragedia umanitaria che coinvolge un intero popolo». Ora: non vogliamo infilarci nelle baruffe della comunità Lgbtqia+ di Napoli, vedremo se il Pride si farà o meno e se si farà che la gente si diverta senza esagerare, insultare qualcuno, impiccare o mettere a testa in giù manichini di politici sgraditi. È però piuttosto bizzarro, diciamo così, che pochi giorni fa al Pride di Roma sventolassero bandiere della Palestina e dell’Iran, Paese quest’ultimo in cui l’omosessualità viene punita con la pena di morte, e che allo stesso tempo un presidente della comunità Lgbt che va in uno dei Paesi più Lgbt del mondo venga contestato dalla propria comunità Lgbt locale. Dalla Palestina, peraltro, molti omosessuali negli anni sono scappati in Israele. Il cortocircuito è totale.
Mentre il mondo arcobaleno di Napoli è in subbuglio continua a raccogliere adesioni l’appello lanciato alle istituzioni da Antinoo Arcigay per un «ponte umanitario» che da Israele permetta il ritorno in Italia del presidente Sannino «e di tutte le altre persone Lgbtqia+ rimaste bloccate in Israele». Sannino sta pubblicando sui social video e testimonianze dal bunker. Altro che sole mio e pizza. Il Gay Pride di Napoli è più a rischio della segreteria Schlein.
Te lo do io il That’s amore...