"Atto dovuto? No, disumano." È un urlo di dolore e rabbia quello del padre di Riccardo Boni, il ragazzo di 17 anni che ha perso la vita sotto la sabbia, sepolto da un tunnel che lui stesso aveva scavato. Appena informato dell’iscrizione del suo nome nel registro degli indagati con l'accusa di omicidio colposo, l’uomo non riesce a contenere lo sgomento: "Ma come, indagato? Ma questo è disumano! Omicidio colposo? È assurdo, io non ho ucciso mio figlio", ha detto con voce rotta ai carabinieri. Gli investigatori gli hanno illustrato il motivo alla base del provvedimento: trattandosi di un minore, la normativa italiana attribuisce ai genitori la responsabilità legale di quanto accade ai figli, anche in contesti drammatici come questo.
Un passo inevitabile, spiegano gli inquirenti, per consentire lo svolgimento delle indagini e degli accertamenti medico-legali, tra cui l'autopsia. Il fascicolo aperto dalla Procura di Civitavecchia fa riferimento a due specifici articoli del Codice penale: il 589, che disciplina l’omicidio colposo, e il 40, secondo cui "non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".
Riccardo aveva raggiunto da poco il campeggio di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, dove avrebbe dovuto trascorrere l’estate con la famiglia. Ma in quella spiaggia, che doveva essere solo un luogo di svago, ha trovato la morte in circostanze tragiche. L’esame autoptico sarà ora fondamentale per chiarire un punto centrale: Riccardo poteva essere salvato? I tempi esatti del decesso potrebbero rivelare se ci fosse ancora una possibilità di intervenire.
Il caso è seguito dal procuratore Alberto Liguori, che coordina le indagini per comprendere appieno cosa sia accaduto in quei momenti drammatici. Nel frattempo, resta il dolore di una famiglia spezzata e la rabbia di un padre che si sente ingiustamente messo sotto accusa.