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Andrea Sempio, "15 minuzie identificabili": ecco che cosa lo può incastrare

di Luca Puccini sabato 26 luglio 2025

3' di lettura

Come se si fosse appoggiato al muro, col braccio destro teso in avanti, il peso del corpo ciondolante verso i gradini, i piedi forse ancora all’inizio delle scale che portano nella cantina della villetta di via Pascoli e la testa ciondolante a guardare giù. La fotografia (quella da immaginare) è un po’ questa. Ma ce n’è un’altra, di foto, che invece è reale, realissima, è quella scattata in quel maledetto agosto di oramai diciotto anni fa, subito dopo la morte violenta di Chiara Poggi: è l’immagine della famosa “impronta numero 33” che, adesso, rischia di diventare un guaio (serio) per l’unico indagato del nuovo filone di indagini sull’omicidio, Andrea Sempio.

Sono convinti, i consulenti legali di Alberto Stasi, che quell’orma sul muro sia stata lasciata da una mano «imbrattata di sudore e materiale ematico» (che poi, nella sostanza, vuol dire sangue). Sono sicuri che si tratti di «un contatto palmare intenso, certamente non superficiale o sfuggevole o strisciato». Sono certi, Oscar Ghizzoni, Pasquale Linarello e Ugo Ricci, perché hanno effettuato diverse prove sperimentali ricreando le condizioni del passaggio verso il piano interrato, che quella «non risulta compatibile con una normale discesa per le scale».

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È l’estate calda di Garlasco, l’estate dei colpi di scena, dell’incidente probatorio, delle relazioni tecniche (come questa, appena conclusa) e dei sospetti che si stringono attorno al ragazzotto oggi 37enne di Vigevano, amico di Marco, il fratello di Chiara, già finito nel mirino della magistratura in passato (il cui procedimento è stato però archiviato) e, ora, tornato letteralmente sotto i riflettori.

I pm di Pavia Stefano Civardi, Giuliana Rizza e Valentina De Stefano hanno fatto il suo nome, qualche mese fa, lo hanno accusato di concorso in omicidio (con Stasi, che è il solo ad aver avuto una condanna in via definitiva per la morte dell’allora sua fidanzata, oppure con ignoti): oggi, che mancano diciannove giorni esatti alla commemorazione di uno dei delitti italiani più seguiti del secolo in corso, la sua posizione potrebbe aggravarsi.

Manca il parere della procura, manca la parola scritta del Racis (il Raggruppamento delle investigazioni scientifiche) dei carabinieri che sta lavorando a una perizia proprio su questo aspetto, c’è solo la consulenza di parte e c’è, a ben vedete, il parere opposto dei legali di Sempio: ma il caso, per il momento, sembra più che mai aperto. Per i consulenti di Stasi l’impronta 33 sarebbe «dotata di quindici minuzie ben identificabili» (parere che, tra l’altro, è conforme a quello già espresso dal colonnello dei Ris di Roma Gianpaolo Iuliano); secondo i difensori di Sempio Angela Taccia e Massimo Lovati, che si fanno aiutare anche dall’ex comandante dei Ris Luciano Garofano, le minuzie sarebbero appena cinque perché gli esperti dell’accusa avrebbero scambiato alcuni segni dell’intonaco per alcune sue caratteristiche. Non è una questione marginale, è (probabilmente) il fulcro di tutto.

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La riapertura delle indagini, la (nuova) posizione di Sempio, il proseguo dell’inchiesta: ogni cosa, a Garlasco, ruota attorno a quel segno sul muro che è disponibile solo come foto perché l’intonaco è stato raschiato via nel 2007 dopo che gli agenti dell’Arma ci avevano spruzzato sopra dello spray alla ninidrina e, quindi, non è più «possibile procedere ad accertamenti biologici» alternativi.

Bisogna lavorare su quello, insomma. Su quella manata intrisa di «sangue misto a sudore certamente non da primo contatto, ma da contatti successivi oppure da contatti di una mano con sangue parzialmente essiccato o di una mano sommariamente ripulita, a esempio, sui vestiti», continua la relazione (nonostante anche i consulenti della famiglia Poggi siano scettici sull’utilizzabilità di quella specifica impronta che, però, rimane uno degli elementi cardine dell’inchiesta ancora al vaglio degli inquirenti).

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