Come abbiamo scritto ieri la Scuola Normale di Pisa ha deciso di tagliare ogni collaborazione con università e istituti israeliani accusati di collaborare con il governo nelle violenze a Gaza, a iniziare da due atenei di Gerusalemme e Herzliya. La stessa cosa, anche più allargata, aveva deciso l’Università di Padova qualche settimana fa. Questi due atenei rappresentano nei fatti il fronte italiano di boicottaggio accademico che all’estero si sta allargando a macchia d’olio, secondo il trend antilibertario del momento. Tra le università che hanno deciso di sospendere le collaborazioni con le istituzioni accademiche israeliane c’è per esempio il MIT (Massachusetts Institute of Technology), la Yale University, il Trinity College di Dublino, ben 76 università spagnole, 5 norvegesi, decine di francesi e via di questo passo.
Tutti convinte di fornire il loro sacrosanto contributo perla difesa di Gaza contro il perfido Bibi Netanyahu. Il problema è che il boicottaggio è quasi sempre un’arma a doppio taglio che va a colpire anche chi non c’entra nulla e nella peggiore delle ipotesi perfino anche chi potrebbe schierarsi dalla medesima parte dei boicottatori. Il caso degli atenei è lampante anche perché in Israele, come nel resto del mondo, tutte le università hanno bisogno del fondamentale contributo dell’estero e distinguere, come cerca di fare la Normale di Pisa valutando «con la massima attenzione ogni accordo istituzionale e collaborazione scientifica», tra chi in modo diretto o indiretto contribuisce all’offensiva nella Striscia è un’impresa improba se non impossibile.
È il caso ad esempio del Weizmann Institute, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, del Technion di Haifa, dell’Università di Tel Aviv e dell’Open University, i cui rettori nelle ultime ore hanno scritto una lettera a Netanyahu chiedendogli di dare ordine ai militari nella Striscia di risolvere in maniera efficace il terribile problema della fame a Gaza. Una lettera ovviamente ininfluente ai fini dello scopo che si prefissa ma che ha come obiettivo vero quello di fugare ogni sospetto collaborazionista sugli istituti che rappresenta.