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Napoli, che fine fa la chiesa di Masaniello: beffa islamica

di Simone Di Meo venerdì 8 agosto 2025

3' di lettura

Stavolta non c’è nulla che possa fare, Masaniello. Il capopopolo napoletano che nel 1647 osò sfidare il viceré spagnolo e guidare una rivolta popolare contro le tasse ingiuste, deve arrendersi. La chiesa in cui sposò Bernardina Pisa, quella stessa Santa Caterina al Foro Magno che sorge nell’area di piazza Mercato, è stata venduta. E non a un ente pubblico o a un’associazione culturale, ma a un ristoratore pakistano per farne (probabilmente) una moschea. L'ennesima.

La notizia ha acceso una miccia in un quartiere già carico di tensioni sociali, dove l’equilibrio tra convivenza e diffidenza è sempre più fragile. I residenti sono sconcertati non solo per la possibile destinazione d’uso della struttura, ma anche per la rimozione di un crocifisso ligneo affisso da decenni all’ingresso dell'edificio: un simbolo che per molti rappresentava una forma di protezione religiosa e appartenenza. La richiesta che rimbalza da giorni è una sola: «Restituiteci quel crocifisso».

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Ma a fare ancora più rumore è il timore, sempre meno latente, di un’islamizzazione del rione, dove già esistono tre luoghi di culto islamico: in via Soprammuro, via Lavinaio e in piazza Largo Mercato. La chiesa di Santa Caterina al Foro Magno, per quanto oggi sia ridotta a un rudere dopo decenni di abbandono e razzie – chiusa sin dal 1980 – conserva un significato identitario potente per quelli nati nel centro storico che ne conoscono la storia centenaria. È il luogo dove si celebrò, secondo le fonti, il matrimonio del più celebre tra i rivoluzionari partenopei, diventato simbolo di riscatto popolare e orgoglio cittadino.

Una pagina dimenticata, come il resto dell’edificio, finita tra le carte dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero che ha perfezionato la vendita in silenzio e senza comunicazioni pubbliche. E così, in una zona già complessa, densamente abitata e segnata negli anni scorsi anche da episodi di radicalismo religioso – basti pensare ai controlli su alcuni predicatori tra piazza Mercato, Porta Capuana e l’area della stazione centrale – il caso ha assunto immediatamente una dimensione politica.

Luigi Rispoli, vicepresidente cittadino di Fratelli d’Italia, ha definito «un atto grave» l’asportazione del crocifisso, sottolineando che si è trattato di un gesto «compiuto nel silenzio e senza alcun confronto con la cittadinanza». Ma il nodo, secondo Rispoli, è più profondo: «Napoli è città aperta, accogliente e multiculturale, ma non può accettare la cancellazione della propria memoria religiosa e della propria storia. La libertà di culto non può e non deve passare per la sostituzione identitaria. Chiediamo con forza chiarezza, trasparenza e rispetto».

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Parole dure sono state espresse anche da Severino Nappi, capogruppo della Lega in Consiglio regionale e vice coordinatore del partito in Campania. Il suo affondo ha chiamato in causa direttamente il vescovo e gli uffici deputati alla tutela e alla conservazione dei beni storici e archeologici: «Al di là del fatto che si sia credenti o meno, assistiamo a una vera e propria cancellazione della nostra cultura e della nostra identità, rispetto alla quale sia l’Arcidiocesi che la Sovrintendenza, che hanno acconsentito alla vendita della struttura religiosa, avrebbero dovuto mostrare maggiore sensibilità, soprattutto verso i napoletani e i fedeli di quel quartiere». A questo punto servirebbe solo un miracolo.

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l.p.