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Turismo, tra divieti e maranza: ecco perché il settore rischia grosso

Il caro-ombrellone c'è, così come la maleducazione. Le ordinanze dei sindaci che tentano di impedire tutto hanno dubbi risultati. E i villeggianti se ne accorgono e se ne vanno
di Daniele Capezzone domenica 10 agosto 2025

4' di lettura

Le immagini di troppe spiagge italiane non al completo (e in qualche caso il nostro è quasi un delicato eufemismo) ci hanno colpito tutti come un pugno nello stomaco: se non c’è il pienone nemmeno in questi giorni e nemmeno in Romagna, vuol dire che il problema è grosso. Come si spiega? Sì certo, le due guerre in corso non aiutano: il cupo clima bellico – vuoi o non vuoi – produce un riverbero anche sulla nostra propensione ai consumi. Magari nemmeno ce ne accorgiamo, e non si tratta certamente del fattore decisivo: e però quella preoccupazione

in qualche modo incide sulle nostre decisioni. Come pure – non nascondiamocelo – pesa il fatto che le nostre famiglie avrebbero un gran bisogno di qualche soldino in più in tasca: da trent’anni gli stipendi italiani sono tra quelli che crescono meno. Ora lo dicono ad alta voce (ben svegliati, compagni...) perfino quelli del Pd, che però in tutto questo periodo (inclusi i lunghi anni dei loro governi) non se n’erano accorti. L’attuale governo ha avuto il grande merito di realizzare un alleggerimento fiscale (che era atteso da tempo immemorabile) per le fasce di reddito più basse: sarebbe un autentico miracolo – il centrodestra è il primo a saperlo: il tema è se, quando e come sarà possibile riuscirci – se un qualche beneficio fiscale arrivasse, da qui a fine legislatura, anche dalle parti del ceto medio.
Ma – ad un’analisi intellettualmente onesta – a pesare su questa estate di spiagge meno frequentate sono stati soprattutto gli aumenti dei prezzi praticati dagli operatori turistici. Qui a Libero siamo sempre dalla parte delle imprese: ma l’idea di dover sborsare 150 euro a settimana per un ombrellone anche in località popolari è francamente surreale e respingente.

Vale per i gestori degli stabilimenti balneari e – su un altro piano – vale per gli albergatori: se si tira troppo la corda, il rischio che si spezzi è altissimo. Inutile girarci intorno: oggi noi consumatori abbiamo in mano il “superpotere” rappresentato dal telefonino, dai motori di ricerca, dai siti specializzati sulle offerte last minute. E fare un confronto istantaneo tra le diverse località italiane e straniere è tanto semplice quanto impietoso. Se voglio scegliere una meta turistica per una settimana e per due persone, e dispongo di un budget di 2000-2500 euro, trovare ottime soluzioni in Grecia, Albania, Spagna, Egitto, Tunisia è abbastanza agevole. Lo sappiamo tutti, e spesso ci regoliamo di conseguenza.

Qui in Italia invece? Basta fare un test banalissimo e le cose si mettono male. Per mangiare e dormire, e poi per la spiaggia, il rischio di andare molto oltre quel budget è elevatissimo. Anche quando si tratta di località un tempo destinate a un pubblico superpop. Nel caso della Romagna, ad esempio, il caro prezzi rischia di essere devastante. La forza della Riviera era stata quella – per decenni – di consentire a famiglie di ceto medio e medio-basso di permettersi anche diverse settimane di vacanza a cifre ragionevoli. Se invece all’improvviso ti vengono chieste cifre analoghe a quelle delle località dove il mare è cristallino, il confronto rischia di essere impietoso.

Ma attenzione: non c’è solo il prezzo a giocare un ruolo assai negativo. Per la prima volta da decenni, è anche l’offerta a mostrarsi più debole e stanca proprio sul terreno che era stato più congeniale alla Riviera: il divertimento, la notte, le attrazioni a tutte le ore. La realtà (scelta pessima di troppi sindaci) è che, per contrastare la cosiddetta “mala movida”, si è scelta la strada dei divieti a raffica. Risultato? In troppe località di mare, già dopo le nove di sera, c’è il mortorio. E a imperversare sono i maranza (e fauna simile) che ovviamente dei divieti non si curano. Sarebbe saggio invertire totalmente la prospettiva: duro contrasto all’illegalità, a chi crea disordine e caos, ma niente provvedimenti “spegni-Riviera”, che rischiano di comprimere l’offerta turistica e di lasciare insoddisfatta la domanda.

A mio personale avviso, ha invece pienamente ragione uno che se ne intende come Mirko Casadei, figlio del leggendario Raoul. Sentito l’altro ieri dal dorso emiliano-romagnolo di Repubblica, Casadei junior ha avanzato una proposta di grande lungimiranza: con le opportune garanzie di sicurezza e con adeguata illuminazione, sarebbe l’ora di aprire le spiagge anche di notte, o almeno che qualche imprenditore coraggioso ci provi. Se lo si fa d’inverno con le piste da sci, perché non lo si può fare anche d’estate, puntando sul fascino di un bagno notturno? A me pare che Casadei abbia del tutto centrato il problema: non solo occorre mandare giù i prezzi, ma occorre spingere su l’inventiva, le “esperienze”, le cose da provare e da ricordare, le novità e le attrattive da offrire a tutti. Nella migliore tradizione romagnola e italiana: per giovani e anziani, per i ragazzi che si vogliono divertire e per le famiglie che desiderano rilassarsi, e ovviamente per tutte le tasche. Proviamoci di nuovo.

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