È in uscita, per le edizioni Cantagalli, Il denaro di Charles Péguy, tradotto da Antonio Tombolini e curato da Pigi Colognesi. Pur richiamando nel titolo il celebre romanzo di Zola, Il denaro si distingue per la profonda meditazione filosofica e spirituale di Péguy sul ruolo del denaro, che egli vedeva come una forza altamente corrosiva, capace di degradare tutte le istituzioni sociali.
Da ex socialista convertito al cattolicesimo, Péguy non si piegò mai né al dogma politico né a quello religioso, rimanendo indipendente fino all’ultimo, al punto da pagare con la povertà e il lungo oblio la sua integrità di mistico. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando il mercato e la ricerca del profitto a ogni costo già si affermavano come le leggi incontrastate della società, egli metteva in guardia i suoi contemporanei dall’ascesa di una potente élite burocratica che anteponeva l’interesse egoistico ai valori comunitari tradizionali. Tale processo, ai suoi occhi, segnava una svalutazione irreversibile delle relazioni personali, un impoverimento spirituale profondo, una vera e propria «decreazione» dell’esperienza umana. L’economia finanziaria avrebbe di lì a poco trasformato ogni aspetto della vita sociale e sostituito i valori tradizionali con l’astrazione del calcolo, nella totale compiacenza del «Partito Intellettuale», ovvero il ceto rampante di specialisti e tecnici pronti a tradire l’eredità culturale dei padri.
Considerato come uno dei capolavori di Péguy, questo libro alterna momenti autobiografici a riflessioni saggistiche, descrivendo con grande lucidità lo sfaldamento della società tradizionale e la sua surrogazione con una realtà interamente permeata dal denaro, che è in grado di plasmare ogni dinamica vitale, assorbire e omologare ogni valore. È una cronaca acuta e dolorosa di un passaggio epocale. Nella società moderna il denaro non è solo moneta, ma il simbolo di una crisi morale, spirituale e culturale. «Tutti sono borghesi» – è la tesi perentoria di Péguy, e non è una semplice definizione sociale, ma un’amara constatazione esistenziale. In un mondo dominato da parametri misurabili, l’identità personale è mercificata, e ogni relazione ridotta a scambio regolato da una logica mercificante e livellante.
L’unica via di scampo è il «rimanere nella povertà», intesa non come necessaria scarsità materiale, ma come attitudine spirituale: riconoscere ogni bene - la vita, gli affetti, il lavoro – come dono gratuito. Questa consapevolezza della «gratuità», che richiama la figura di San Francesco e la sua “sposa Povertà”, libera l’individuo, rivelandogli la libertà come condizione irrevocabile della grazia, principio di ogni dono autentico.
La critica di Péguy al mondo moderno è chiara: il culto moderno del denaro allontana la persona umana dalla verità, dal senso autentico dell’esistenza e dal valore del «pane quotidiano» salvifico, in un mondo sottomesso all’utilitarismo. Ma questa critica non cela alcun nostalgismo per l’epoca premoderna, semmai rivela la presenza viva di Cristo: la salvezza, come la Pasqua, è dono gratuito, non prodotto di mercato.
Da qui la celebrazione di Péguy del lavoro. I medievali avevano conosciuto un «onore del lavoro» che governava «braccia e cuori» e non nasceva da un salario o da un padrone, ma dal rispetto per l’opera delle proprie mani. Ogni parte, visibile o nascosta del lavoro, ambiva alla stessa perfezione che caratterizzava la tradizione spirituale e morale. Pubblicato nel 1913, Il denaro risuona ancora oggi con una sorprendente attualità. È la cifra di un declino che coinvolge il tessuto della società e della cultura europea. In un’epoca segnata da nuove forme di dominio economico e tecnocratico, il monito di Péguy resta un richiamo urgente alla resistenza contro la mercificazione della vita. La sua prosa chiara e vibrante, i suoi dialoghi brillanti hanno attraversato oltre due secoli e ci parlano sempre, ci affascinano e ci fanno sentire meno soli, meno smarriti.