Si fa presto a dire censura. Gli inglesi usano l’espressione «the pot calling the kettle black»; gli italiani tradiscono liberamente «senti da che pulpito viene la predica!». Quel che è vero è che la sinistra dovrebbe stare molto attenta quando parla di censura, vedendola là dove francamente non c’è. Ma andiamo con ordine. Il 3 settembre scorso l’Ufficio Scolastico del Lazio invia una circolare a tutti i dirigenti scolastici della regione.
In essa quelli che un tempo si chiamavano presidi sono invitati «a garantire la massima serenità nell’organizzazione di occasioni di confronto e di dibattito nell’ambito delle occasioni didattiche» relativamente ai rilevanti «eventi geopolitici in corso» (quindi non solamente quelli di Gaza). In particolare, la missiva sottolinea la necessità «di assicurare la specificità dei luoghi e dei momenti della vita scolastica, quali le riunioni degli organi collegiali, che devono essere esclusivamente finalizzate alla trattazione delle tematiche relative al buon funzionamento dell’istituzione scolastica e sottratte a qualunque altra finalità».
Fuor di burocratese, in sostanza non si vuole azzittire il dibattito né censurare alcuno, ma solo stigmatizzare la cattiva abitudine invalsa negli ultimi anni di usare gli organi collegiali per fini non pertinenti alla loro funzione. Ciò ha spesso causato ritardi nell’avvio del regolare anno scolastico e disagi per chi vorrebbe usufruire di un buon servizio. Ha avuto perciò buon gioco Anna Paola Sabatini, il direttore generale dell’Ufficio che aveva firmato la circolare, a ribadire questi semplici concetti in risposta alla canèa montata ad arte da sindacati e partiti di opposizione.
Il consigliere regionale piddino, Eleonora Mattia, ha presentato addirittura una richiesta di interrogazione in Consiglio regionale chiedendo a Francesco Rocca, il presidente della Regione, come intendesse garantire l’autonomia scolastica nell’anno in corso. Rivelatrici sono state però le parole con cui la Mattia ha accompagnato l’interrogazione, affermando che, in un momento come l’attuale in cui sarebbe in corso il “genocidio” del popolo palestinese e la Global Samud Flotilla sarebbe sotto l’attacco di Israele, «non è edificante per le giovani generazioni costringere insegnanti e studenti a vestirsi da burocrati e a girare la faccia dall’altra parte».
In verità, la Mattia non solo dà una lettura errata e capziosa di un semplice “ordine di servizio”, ma rende a tutti manifesto il vero scopo della protesta: il timore che diminuiscano nella scuola i luoghi di propaganda e indottrinamento in cui far passare come “verità” la versione mainstream (e di Hamas) del conflitto israelo-palestinese. Altro che spirito critico! Provate solo a contestare, o a sollevare qualche dubbio, su questa versione e vi vedrete di colpo voi sì azzittiti e censurati dai nuovi “guardiani del pensiero”.
Non ci è andata di fino nemmeno Marilena Grassadonia, responsabile “diritti e libertà” di Sinistra Italiana e Verdi che ha accusato la dirigente dell’Usr di seguire «pedissequamente le indicazioni del ministro Valditara» in una strategia tesa ad affermare una visione educativa “reazionaria ed arida”. Hanno detto la loro anche i Cobas che hanno parlato di una «idea di scuola e democrazia» da difendere contro «autoritarismi e derive illiberali». Peccato che quell’idea, messa alla prova in passato, ha diminuito la qualità degli studi e si sia dimostrata niente affatto democratica e pluralista. Senza contare che la maggioranza degli italiani, compresi gli studenti, chiedono a gran voce di girare pagina e non seguire più quelle che oggi sono solo le voci di minoranze rumorose e ben organizzate.