Due ragazzi di neanche vent'anni. Entrambi con la faccia pulita ei capelli tenuti un po' lunghi. Entrambi di destra, militanti nei movimenti giovanili del Msi. Entrambi, purtroppo, brutalmente ammazzati da estremisti di sinistra. Sono tante le cose in comune tra Sergio Ramelli e Carlo Falvella. Anche gli slogan su di loro creati dai compagni. Da una parte «tutti i fascisti come Ramelli, con una riga rossa tra i capelli», con un evidente richiamo alla sprangata alla testa che lo ha ucciso. Dall'altra «tutti i fascisti come Falvella, con un coltello piantato nelle budella». A “dividerli”, al limite, c'era il calcio, con Sergio tifoso dell'Inter e Carlo milanista. E poi la provenienza geografica. Del nord il milanese Ramelli, del sud il salernitano Falvella. Della storia di Ramelli, attivista del Fronte della gioventù ucciso nel 1975 da un commando di Avanguardia operaia, se ne è parlato molto. Soprattutto quest'anno, ottantesimo anniversario della sua morte. Sono usciti diversi libri e anche un francobollo. In tante città, inoltre, gli hanno dedicato una via o un giardino.
Meno nota, al contrario, la vicenda di Falvella. Che spesso si perde tra quelle delle tante vittime degli anni di Piombo. Proprio per questo, per raccontare quello che è successo, arriva adesso in libreria «E me ne vanto». La storia di Carlo Falvella, volume agile scritto da Tony Fabrizio (Altaforte edizioni, pp.160, euro 17). Partiamo dall'inizio, allora. Chi era Carlo Falvella? Bè, era un ragazzo di 19 anni, vicepresidente del Fuan di Salerno, l'organizzazione degli universitari vicini al Movimento sociale italiano. Quindi era un violento? Un “picchiatore fascista”? No, niente di tutto questo. Era uno studente di filosofia, tra l'altro con gravi problemi alla vista. «Ho scelto la filosofia», spiegava, «perché potrei continuare a insegnarla anche senza dover scrivere. Ma devo fare presto a laurearmi. Devo assolutamente riuscirci prima di diventare cieco completamente». Al termine dell'università, però, non ci arriverà mai...
La vita di Carlo, infatti, è finita all'improvviso il 7 luglio 1972. Era una giornata di inizio estate, e il giovane militante del Fuan stava passeggiando sul lungomare di Salerno con un amico, anche lui di destra. Involontariamente ha dato una spallata a un ragazzo più grande, l'anarchico Giovanni Marini. Ne è nata una discussione, in cui è stata tirata in ballo anche la politica. Ma insomma, niente di che, e alla fine ognuno è andato per la sua strada. Sembrava tutto finito, e invece... E invece, qualche ora dopo, Marini e altri due ragazzi di sinistra hanno teso un agguato alla coppia di “fascisti”. I compagni erano armati, e ad avere la peggio, venendo accoltellato a morte, è stato proprio Carlo. Una cosa assurda. Anche perché, nel 1972, la stagione più dura della violenza politica doveva ancora arrivare.
La cosa peggiore di questa tragedia, però, è forse quello che è successo dopo. Ovvero la reazione della sinistra, sia istituzionale che extraparlamentare. Intanto va detto che al funerale di Falvella, a cui partecipavano oltre ventimila persone, tra le quali ovviamente tutto lo stato maggiore del Msi, non c'era nessun rappresentante degli altri partiti, a cominciare dall'allora sindaco di Salerno, il democristiano Russo, e dall'allora presidente della provincia, il socialista Carbone. Assenti ingiustificati. Non solista. Va anche segnalato che tra gli avvocati difensori dell'assassino di Carlo c'era pure il senatore comunista Umberto Elia Terracini, ex presidente dell'Assemblea costituente. «Negare il carattere politico di questa dolorosa e sciagurata vicenda», disse all'epoca, come riportato nel libro di Fabrizio, «significherebbe negare a Marini anche l'attenuante della provocazione.
Egli ha agito per motivo di particolare valore morale, politico e sociale». E poi non si può non citare l'impegno in difesa di Marini di Soccorso rosso, naturalmente con in prima fila il futuro premio Nobel Dario Fo e sua moglie Franca Rame. Sul processo all'assassino, con un intervento dello stesso Fo, è puro uscito un libro: Il caso Marini. Sottotitolo: Fuori Marini, dentro ifascisti. Non servire aggiungere altro...
Incredibile infine che, esattamente come per Ramelli, l'odio della sinistra verso Falvella continua anche oggi. A Salerno, quando i ragazzi di destra commemorano Carlo, viene organizzata una contromanifestazione di cui non si capisce proprio il senso. E in occasione di una di queste contromanifestazioni è spuntato pure lo slogan “uccidere un fascista non è reato”, «orgogliosamente mostrato», scrive Fabrizio, «in un reel sulle pagine social dell'Unione degli studenti di Salerno». Perché prendersela ancora un ragazzo ucciso più di cinquant'anni fa? Perché inneggiare un omicidio politico? Poi i progressisti si indignano se qualcuno parla di “sinistra dell'odio”... Resta da dire solo un'ultima cosa. Perché il libro si intitola «E me ne vanto»? Semplice. Per la frase detta dalla mamma di Carlo al suo arrivo alla camera ardente: «Hanno ucciso mio figlio, non hanno ucciso la sua idea. Perchè mi guardate? Sono missina anch'io e me ne vanto». Il dolore e l'orgoglio...