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Flotilla, "il rischio ora è troppo grande": chi lascia la missione

di Maria Pia Petraroli domenica 28 settembre 2025

2' di lettura

"Sono a Creta, in un porticciolo vicino Lerapetra, tornerò in Italia. Devo portare avanti l’altra missione umanitaria che svolgo in Ucraina e poi mi organizzerò per una nuova missione per Gaza": il fotoreporter fiorentino Niccolò Celesti ha deciso di lasciare la Global Sumud Flotilla, la spedizione umanitaria che si sta dirigendo verso la Striscia per portare aiuti alla popolazione. Nei giorni scorsi è arrivato un appello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha invitato gli attivisti a tornare indietro e a non forzare il blocco di Israele per evitare conseguenze gravi, con la garanzia della mediazione del Patriarcato Latino per far arrivare gli aiuti a Gaza. La Flotilla, però, ha rifiutato. 

Diversa la posizione di Celesti, che al Corriere della Sera ha detto di aver interrotto la missione "perché non ero più allineato alle idee del comitato direttivo, si erano create troppe divergenze. Non sono l’unico ad essere uscito, molti la pensano come me e sono venuti via, ciò non vuol dire che non credo nella missione, anzi vorrei ancora essere a bordo ma ho fatto un passo indietro proprio per non creare tensioni all’interno del gruppo. È stato come abbandonare una montagna a pochi passi dalla vetta, è stata una scelta sofferta e ponderata per giorni".

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Scendendo nel dettaglio delle divergenze, ha spiegato: "Prima di partire, durante i training a Catania, ci era stato chiaramente detto che l’obiettivo non era quello di entrare nelle acque territoriali di Gaza, che sarebbero palestinesi anche se sono controllate da Israele. Sono state divergenze ma con lo stesso obiettivo finale, aiutare il popolo palestinese. Io sono pronto a rischiare l’arresto, le difficoltà e i pericoli, ma non a rischiare la vita senza un’analisi seria delle modalità con cui si arriva a quella capitolazione, senza una reale possibilità di successo per Gaza, e senza una strategia concreta per proteggere la vita dei volontari e delle persone coinvolte in questo progetto".

A influenzare la decisione anche l'appello del capo dello Stato e il messaggio dello stesso tenore del ministro della Difesa Antonio Tajani: "Se il ministero della difesa e il presidente della Repubblica ti dicono di trattare per vie diplomatiche perché non possono garantire la nostra incolumità, non possiamo non dare loro credito, significa che il rischio è reale. Queste parole hanno influito perché per me trovare una soluzione deve includere ancora tutte le possibili strade, anche quelle diplomatiche". Il rischio adesso, ha proseguito il fotoreporter, è "che possa scapparci il morto, la situazione potrebbe sfuggire di mano. Anche ammesso che si riuscisse a rompere il blocco ed entrare nelle acque di Gaza, la distribuzione degli aiuti – che sarebbero comunque in quantità limitata – rischierebbe di trasformarsi in un bagno di sangue, per noi e per i civili palestinesi dato che lo sbarco degli aiuti potrebbe trasformarsi in un caos. E credo che tutti sappiano quanto questa possibilità sia, di fatto, irrealizzabile".

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