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Hamas, la propaganda funziona: dal 7 ottobre tutti pro-Pal

La campagna di antisemitismo covava da ben prima del pogrom di Hamas. Di stampo nazista e sovietico, gode del prestigio dell’Onu e delle università
di Costanza Cavalli giovedì 9 ottobre 2025

4' di lettura

La propaganda pro-Pal spaccia l’antisemitismo per antisionismo, non pronuncia la parola ostaggi e non tollera di sentire pronunciare il cognome “Segre”. Giustifica il 7 ottobre inserendolo in un’ignorante concatenazione di eventi per cui bisogna mettersi nei panni dei terroristi: il pogrom in cui Hamas ha ammazzato 1.200 ebrei-in-quanto-ebrei non è l’unico atto genocidiario, frutto di un’ideologia omicida, cui abbiamo assistito, ma anzi, è un atto obbligato per il riconoscimento di uno Stato palestinese che si estenda “dal fiume al mare”, così da inglobare Israele all’interno di un unico impero islamico. Poco importa se a Gaza il sottosuolo è diventato, dal colpo di stato del 2007 in avanti, un formicaio di tunnel lunghi centinaia di chilometri scavati alla bell’e meglio da bambini non più che dodicenni, pagati 25 dollari per un turno di 12 ore, morti a decine sotto frane accidentali per consentire ai terroristi di accumulare decine di migliaia di missili. Poco importa se negli Stati Uniti gli episodi di antisemitismo sono aumentati del 140% in due anni e in Francia nel 2024 sono stati 1.570 contro i 436 del 2022. Di (ir)riflesso nel Regno Unito i giornalisti sembrano più propensi a utilizzare come fonte i miliziani jihadisti anziché le Forze di difesa israeliane.

Così come in Italia sembrano fidarsi di Al Jazeera, emittente con sede a Doha e finanziata dallo stesso portafogli che ha garantito la sopravvivenza e l’approvvigionamento di armi ad Hamas, piuttosto che farsi domande sulla provenienza dei denari che hanno consentito alla Global Summud Flottila di comprarsi 42 barche scariche di aiuti umanitari. L’Onu, da anni considerata niente più che un’istituzione democratica romantica, è diventata il faro del diritto internazionale, poco importa se alcuni dei suoi dipendenti hanno preso parte al 7 ottobre. La propaganda pro-Pal rotea, confonde e, con il basso continuo dello slogan “Globalize the Intifada”, inghiottisce tutto come un mulinello. La sorgente è presto detta: racconta il Telegraph che il 7 ottobre del 2023, mentre i terroristi stavano ancora uccidendo, stuprando e prendendo in ostaggio cittadini israeliani, nel Regno Unito si stava già muovendo la macchina della psicosi collettiva. Il predicatore Haitham al-Haddad, un islamista radicale, pubblicò un video su YouTube in cui invitava i seguaci “a pensare a vari modi per sostenere i combattenti, sia politicamente che economicamente che attraverso la visibilità mediatica. Preparatevi a manifestazioni di massa per sostenerli”.

È stato ascoltato subito: la polizia di Londra ha registrato la prima richiesta di una protesta nazionale contro Israele da parte della Palestine Solidarity Campaign il 7 ottobre alle 12:50. Apparentemente organizzata per sostenere la causa dei gazawi, la manifestazione divenne una festa post-pogrom con tanto di fuochi d’artificio: non è stata che la prima in cui i terroristi sono diventati “coraggiosi combattenti” e in cui sono stati fatti paragoni tra l’Olocausto e l’offensiva israeliana nella Striscia.
Nel giro di pochi giorni, le città universitarie sono state tappezzate di volantini pro-Palestina distribuiti dal Partito Socialista dei Lavoratori. Uno, a Manchester, raffigurava un palestinese armato sopra alla scritta: «Vittoria ai palestinesi: perché è giusto resistere a Israele». Sul web, il materiale che promuove e avalla il terrorismo ha inondato i social media. Ghaffar Hussain, esperto di radicalismo jihadista, ha denunciato che dal 7 ottobre gli arrivano costantemente aggiornamenti con materiale estremista: probabilmente, ha detto, perché gli algoritmi dei social media calcolano che il contenuto possa interessarlo a causa del suo nome che «suona musulmano».

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«Se sembra che ci sia una campagna anti-Israele pronta e in attesa degli attacchi del 7 ottobre, è perché è così», si legge sul Telegraph. Assistiamo cioè a una forma di antisemitismo post-occidentale che “cova” da tempo, di stampo nazista prima e sovietico poi. Entrambe le dittature sono il bacino da cui pescare a giumelle per costruire la nuova manipolazione di massa che procede attraverso la semplicità dei messaggi (i simboli visivi sono perfetti, pensate ai cartelli branditi nelle manifestazioni), la ripetizione (i cori da stadio, le dichiarazioni dei politici, il linguaggio dei media) e, infine, il prestigio che paralizza il giudizio (le università, l’Onu e le ong). Quest’ultima è l’intuizione base del marketing: se una celebrità ti dice di comprare qualcosa, la compri (vedi la pervasività degli influencer).

I funzionari israeliani definiscono “Onu washing” la comunicazione menzognera grazie alla quale viene diffusa la propaganda di Hamas, a dire che l’imprimatur dell’Organizzazione conferisce alla propaganda l’etichetta di “autorevolezza”. Esempio: il Ministero della Salute di Gaza, guidato da Hamas, pubblica cifre sul numero di persone che sostiene siano state uccise, senza mai specificare quante siano miliziani. Le Nazioni Unite ripetono l’affermazione nelle conferenze stampa. La notizia viene poi diffusa dalle testate giornalistiche di tutto il mondo. La società, con il manto della pace sulle spalle, chiede ancora l’eliminazione degli ebrei.

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