Tanto per cominciare è maleducazione: perché sì, è vero, gli imprevisti succedono e i programmi si cambiano, ma se hai prenotato un ristorante per venti e poi non si presenta nessuno, che ti costa far prima uno squillo al proprietario guardi-non-si-riesce-più? Poi è una questione economica: perché una tavolata riservata è una tavolata in meno per l’utenza dell’ultimo minuto, ma è anche la spesa fatta apposta dalla cucina e i prodotti comprati in più che vanno a male. E infine è un fatto di rispetto per il lavoro altrui: ché tu, magari, la vivi solo come una sera fuori con gli amici per una pizza, ma dietro c’è una macchina che vale oltre 59 miliardi di euro all’anno (ossiail valore del comparto ristorazione in Italia) e c’è un cameriere che presta servizio mentre te stacchi dall’ufficio, c’è un cuoco che non conosce feste e fine-settimana liberi, c’è un gestore che fa i salti mortali per garantire la busta paga a tutti i suoi dipendenti.
«Il no-show è un problema serio che siamo lontani dal risolvere, ma che riusiamo ad abbassare con la prenotazione online», dice lo chef Max Mariola. «Così ho perso 30mila euro in un anno: oramai o imponi delle penali o vai in rovina», sbotta lo chef Cyril Molard (che, per la cronaca, ha due stelle Michelin). «La gente non lo sa che il mio ristorante subisce delle perdite se non si presenta amangiare, se accade ancora e ancora può mettere in pericolo finanziario la mia azienda», gli fa eco il collega Christian Bau (che di stelle ne ha addirittura tre).
È un problema serio, è un problema generalizzato (nel senso che non è solo italiano e le citazioni qui sopra lo comprovano),è un problema che haaddirittura un nome, coniato, forse un po’ rubacchiato all’ambito più ampio del turismo ma sono dettagli, per l’occasione: quelli del no-show, cioè quelli che non si presentano, che chiamano, bloccano, occupano virtualmente e poi non fanno nemmeno una capitina, non avvisano per liberare la sala. Lasciano nel limbo i maître dei più prestigiosi ristoranti del pianeta, ma lasciano in stallo anche le taverne sotto casa, quelle più alla buona e non per questo più frescone: l’agriturismo Il Ciliegio di San Desiderio, nel Genovese, qualche mese fa, esasperato da questa pratica, ha deciso di chiedere una caparra anticipata a tutti i gruppi con più di sei persone che
chiederanno, in anticipo, di mangiare lì.
Secondo i dato dell’Osservatorio Incrementoo-Ristorazione del 2025, che ha analizzato oltre 212mila prenotazioni in 300 locali italiani da gennaio ad agosto di quest’anno,ilno-show tricolore interessa il 12,8% delle volte che si va amangiar fuori. Il che, a conti fatti, vuol dire una cosa sola: che su dieci richieste avanzate almeno una (la statistica dice un po’ di più) finisce col coperto non utilizzato. D’accordo, chi usa le piattaforme online, le app e i siti alleggerisce un po’ la situazione, cioè incide meno sull’andazzo (anche perché, spesso, i meccanismi di premialità fanno in modo che a una scorrettezza segui il decurtamento di punti sconto e similari), però è lo stesso una brutta abitudine che non fa onore a chi la pratica.
Per questo sempre più attività ricorrono, giustamente, a sanzioni e a caparre (l’ha fatto l’agriturismo genovese, ma l’ha fatto anche Bau che ha inserito nel suo menù una penale salata di 250 euro
per chi fa il furbetto): ma, al di là di tutto, resta il dato della scortesia e della cafonaggine oramai sdoganata a pesare di più sul bilancio complessivo.