«Leone XIV contro Leone XIII». Sul sito americano The Catholic Thing è apparso un commento autorevole con questo titolo. Sorprendente perché si tratta di un sito cattolico e perché l'autore è Michael Pakaluk, che insegna alla Pontificia Accademia San Tommaso d'Aquino di Roma ed è docente di Economia politica presso la Busch School of Businnes della Catholic University of America. Va ricordato che fin dall'inizio papa Prevost ha affermato di aver scelto il nome “Leone” perché s'ispira a Leone XIII che fu il papa (dal 1878 al 1903) della questione sociale, colui che plasmò la dottrina sociale della Chiesa. Ma è proprio su temi sociali e politici fondamentali che, secondo il professore, il papa sembra americano «in contrasto con il suo predecessore», cioè Leone XIII. L'articolo peraltro conferma che fra i cattolici statunitensi stanno emergendo domande e dubbi sulla linea sociale e politica dell'attuale pontificato. Pakaluk concentra la sua attenzione su tre temi importanti della Dilexi te, la prima Esortazione apostolica prevostiana: 1) l'origine dei mali sociali, 2) i rimedi per la povertà e 3) la proprietà privata.
Da sempre la dottrina cattolica ritiene che alla radice dei mali sociali (e personali) vi sia quella ferita che è il peccato originale di Adamo ed Eva e che riguarda tutti gli esseri umani, ricchi e poveri, uomini e donne. È la natura umana inquinata dal maschio che rende ogni costruzione sociale imperfetta e migliorabile. L'avvenimento di Cristo, attraverso la Chiesa, è la medicina del male personale e sociale, ma non lo sradica dalla storia e la vicenda umana rimane sempre una lotta per il bene e contro il male. Per questo Gesù dice: «Il mio Regno non è di questo mondo». Questo conflitto con le ideologie utopiste. Il realismo del cristianesimo concorda con il pensiero liberale e riformista, come quello di Karl Popper secondo cui il mondo si può e si deve migliorare passo dopo passo, ma l'utopista che pretende di costruire il paradiso in terra finisce per creare l'inferno.
Con papa Bergoglio c'è stata però una svolta che Leone XIV segue. Scrive Pakaluk: «Per Leone XIV, la radice dei mali sociali è la disuguaglianza. Riprendendo Francesco, dice: “Posso solo affermare ancora una volta che la disuguaglianza 'è la radice dei mali sociali'”. (n. 94) Ma per Leone XIII, nella sua prima enciclica, Inscrutabili Dei consilio, la radice dei mali sociali è piuttosto il rifiuto del cristianesimo da parte dei poteri civili (...) La differenza non è piccola, perché se il cristianesimo non è necessario, allora, per eliminare i mali sociali, basterebbe che i poteri civili sradicassero le “strutture del peccato”, cioè le strutture della disuguaglianza».
Questa ricetta tuttavia è già stata sperimentata, per tutto il Novecento. È stato il comunismo che ha preteso di cancellare le disuguaglianze (cioè la proprietà privata, la speculazione, il mercato, ecc.) per costruire il paradiso in terra. Il risultato è stato l'inferno. Non era la strada giusta. Pakaluk nota: «Nella Rerum novarum, Leone XIII ha insegnato che la ricerca dell'uguaglianza è un sogno irreale del socialismo». Infatti quel Papa scriveva: «Togliere dal mondo le disparità sociali è cosa impossibile. Lo tentano, è vero, i socialisti, ma ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile. Poiché la più grande varietà esiste per natura tra gli uomini: non tutti posseggono lo stesso ingegno, la stessa solerzia, non la sanità, non le forze in pari grado: e da queste inevitabili differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali».
Il rimedio alla povertà- spiega Pakaluk- è invece lo sviluppo: uno Stato democratico che riconosce la proprietà privata, l'iniziativa economica, il libero mercato, la ricerca scientifica e tecnologica, garantisce il rispetto della dignità e dei diritti dei lavoratori e incentiva la crescita economica che crea lavoro, ricchezza e progresso sociale. È questo il grande ascensore sociale per i poveri. Basta considerare come si viveva in Italia cento anni fa per constatare il gigantesco miglioramento della qualità della vita. Ma Leone XIV, nota il professore, sembra negare tutto questo e non riconosce che «il mondo moderno ha ridotto la povertà». Nella Dilexi te questi «processi di mercato» sono definiti «ideologie» e sono descritti in un modo che non corrisponde «a nessuna posizione sostenuta da una persona responsabile oggi».
Questa «apparente chiusura al libero mercato», scrive Pakaluk, «è tanto più sconcertante perché verso la fine della sua esortazione, dove Leone fa un appello per l'elemosina, dice prima che, ovviamente, è meglio trovare un lavoro per una persona povera che dargli l'elemosina». Ancora meglio «sarebbe lo spirito imprenditoriale in un mercato ben regolamentato». Ma l'Esortazione segue la via di papa Bergoglio. Pakaluk osserva che «Leone (XIV) sembra differire da Leone (XIII), anche sulla centralità del diritto naturale alla proprietà privata» e, a tal proposito, segnala un passo dell'Esortazione che potrebbe essere interpretato in un modo «a dir poco preoccupante». Che tipo di sistema sociale emerge da questa prima Esortazione? Confuso e populista.
Somiglia a certi sistemi socialisti sudamericani e all'Argentina peronista (esperimenti falliti), più che alle nostre società occidentali. Questo documento di sicuro rispecchia il pensiero di papa Bergoglio che lo ha voluto e, in gran parte, lo ha fatto scrivere. Tuttavia lo ha firmato Leone XIV e non sembra che nei suoi interventi sociali se ne distacchi molto. Ma la linea di papa Bergoglio non è quella di Leone XIII e della Dottrina sociale cattolica. Per altro la Dilexi te, nelle sue parti spirituali, probabilmente scritte da Prevost, è bella, davvero commovente. Le due facce dell'Esortazione sono le due facce di questo pontificato. Inconciliabili.