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Educare i figli alla scelta è uno sforzo di resistenza all'odio

E torna sempre utile il consiglio degli istruttori del Mossad ai loro agenti in caso di fallimento di una missione
di Andrea Morigi martedì 4 novembre 2025

3' di lettura

Quando mia figlia Silvia, 14 anni, la settimana scorsa a pranzo mi ha raccontato che a scuola le avevano imposto durante l’orario di lezione di andare ad ascoltare un giornalista, chiamato dal Collettivo studentesco a illustrare la situazione a Gaza, le ho spiegato, mentre le cucinavo il pranzo, che se nessun altro prende iniziative è naturale che lo spazio sia occupato da quelli di sinistra. «Infatti, l’unico a reagire è stato un mio compagno di classe, che ha detto di non voler essere obbligato e di voler fare il saluto romano in assemblea», mi ha risposto.

E io: «Ecco, vedi, quella è la rivoluzione contraria. Invece Joseph de Maistre ci insegna a fare il contrario della rivoluzione, cioè a combattere gli errori degli avversari con gli argomenti, non con la provocazione».

Nemmeno a casa mia a tavola si affrontano sempre temi simili. A noi genitori, però, spetta anche il compito di preparare i ragazzi ad affrontare le sfide del loro tempo. Che poi è anche il nostro, mica siamo ancora morti noi boomer. E se non iniziamo subito a educarli, poi ci toccherà recuperare in salita. Quando frequentavamo gli asili nido (scuola dell’infanzia, pardon!), ci avevano consigliato un’opera di Meg Meeker, Papà, sei tu il mio eroe! L’autrice è una pediatra e psicologa statunitense che, diversamente dalla generalità dei pedagoghi, non finge di ignorare che i bambini abbiano il peccato originale, ma sa che hanno tendenze da correggere e debolezze da sostenere. E che le femmine hanno bisogno del papà per capire quali maschi frequentare e quali no. Cioè, se a casa sono abituate a vedere un capofamiglia ubriacone, troveranno normale fare amicizia con ragazzi che bevono smodatamente mentre se il genitore le porta a messa la domenica e le feste comandate non troveranno poi così strano accompagnarsi con gente religiosa.

Senza escludere che alcol e spirito possano anche essere confusi nella vita reale degli individui. Rimane il dono della libertà. E posso insegnare loro che cosa è bene e che cosa è male, a patto che io lo sappia. Ma non posso forzarle a volere il bene. Scelgono loro. Io devo fornire i criteri di giudizio, cioè la cultura necessaria a discernere. Un motto dei frati domenicani lo sintetizza così: “Contemplare e trasmettere agli altri il frutto della contemplazione”. Così possono orientare la loro vita a seconda dell’esempio che gli hai dato, senza essere in balìa degli eventi o della moda. E non vanno a sballarsi con dei bulletti la notte di Halloween, se il loro cuore è altrove.

Se notano che hai un obiettivo da raggiungere, che sei disposto a spendere tempo per qualcosa di più della tua soddisfazione personale, magari scoprono che c’è un progetto anche sulla loro vita. Glielo ricordo, magari di fronte a un insuccesso scolastico o a una sconfitta sportiva. Ieri a Silvia ma lo farò anche per Martina e Carlo - ho girato qualche consiglio degli istruttori del Mossad ai loro agenti: «In caso di fallimento di una missione, non identificarti con un fallito, ma allenati a rispondere: aggiornamento, informazione ricevuta». Per imparare dagli errori, correggersi e migliorare, senza cadere nella tentazione di credersi buoni a nulla. Prima di uscire, le ho prestato un libro sulle più grandi missioni del servizio segreto israeliano. Una volta avevano fondato una scuola di sub sul Mar Rosso, per studiare il piano di salvataggio degli ebrei falasha. Così adesso avrà uno strumento per resistere alla propaganda sui presunti crimini israeliani.

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