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Forattini, il vignettista scorretto che rivoluzionò la satira politica

Morto a 94 anni il caricaturista che con la matita svelò vizi e difetti dei governanti. Provocatorio, sapeva cogliere i punti deboli dei leader: le sue illustrazioni erano più efficaci degli editoriali...
di Giampaolo Polesini mercoledì 5 novembre 2025

3' di lettura

Giorgio Forattini definisce alcuni anni fa i limiti della satira. «Non è vero che ora è meno dissacrante - disse in un'intervista- a frenare il flusso è il tabù ideologico, quindi non si possono canzonare cose, fatti e persone considerate inviolabili. Aggiungerei la chiesa e anche l'ideologia comunista con l'aiuto della giustizia politicizzata». Il suo tratto resterà iconico e sovrasterà qualunque contemporaneo a venire - è un'ipotesi concreta - soprattutto adesso che l'artista novantaquattrenne, romano di nascita, ha spento la luce della sua scrivania e se n'è andato senza far troppo rumore. Per chi genera arte il silenzio è tutto. Mai stato facile, per chiunque, dipingere il proprio tempo cercando di scatenare l'umorismo sagace e intelligente senza sventolare la volgarità. Mi vengono in mente Guareschi, Palazzeschi, Montale, perché no, Marchesi, Mosca, Federico Fellini e il Marc'Aurelio. Forattini è stato un rivoluzionario. Manca nel Terzo Millennio gente così. Eccome se manca.

Inutile, ci nasci con 'sto dono addosso. Da bimbo, raccontava, improvvisava caricature degli insegnanti. E i migliori, proprio dai banchi di scuola, cominciano ad arrampicarsi sull'Olimpo. Il pezzo di carta non è arrivato mai sulle pareti di casa sua, nonostante una lunga passeggiata nelle aule di Architettura e dell'Accademia del Teatro. Poco importa se hai l'unicità dentro. Che te ne fai di un quadretto con la cornice nera sottile che penzola da un chiodo sulla parete del tinello? La sua famiglia borghese gli stava stretta e la ribellione lo aiutò probabilmente a generare il sarcasmo attraverso l'efficace arma che si ritrovò nella tasca dei suoi pantaloni corti. Succede che uno vince un concorso. Forattini entrò così a Paese Sera. A metà maggio 1974 il quotidiano pubblicò una sua vignetta relativa alla vittoria del No sul Referendum del divorzio e il quarantenne artista in rampa di lancio s'inventò una bottiglia di spumante con un no sull'etichetta e un tappo molto somigliante ad Amintore Fanfani sparato in aria. Quindicimila tavole. «Tutte catalogate in cartaceo e digitale», disse.

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Lui disegnava nel suo studiolo, davanti a una finestra. Per quarant'anni ha osservato la vita là sotto cercando di farla arrivare lassù pronta per essere trasfigurata. Vi ricordate Satyricon? Un foglio messo fine anni Settanta in piedi con le matite di Staino e di Ellekappa. E il Maschio? Anni, quelli, di grande creatività dissacrante. Forattini si dichiarò sempre equidistante dalle dottrine di destra e da quelle di sinistra. «Sono un liberale», ammise. Lezione preziosa per tutti quelli che in questi annidi gran fuoco non sono capaci di stare distanti dai pensieri forti e dannosi. È necessario schierarsi. Chi fa satira non lo dovrebbe mai fare. Vabbé. Ipotesi, utopia.

Chi quel periodo l'ha bello che vissuto, diciamo la fine del Novecento, ricorderà senza fatica alcuna come Forattini dipingeva la classe politica. Giusto qualche dritta per richiamare la memoria. Craxi vestiva alla Mussolini, Spadolini stava sempre nudo, Lamberto Dini era un rospo, Carlo Azeglio Ciampi un cane, Topolino aveva una forte somiglianza con Giuliano Amato, il Berlusca non eccelleva in statura, Romano Prodi appariva come un prete cattocomunista.

Non so se adesso in questo clima bizzarro un Forattini verrebbe preso bene. Come direbbe Gigi Marzullo, fatevi una domanda. Giulio Andreotti confessò di essere stato inventato dal disegnatore. Appunto. Non vedo eredi oggi capaci di finire pericolosamente in gioco. «Le querele arrivarono da sinistra» rivelò il vignettista. Massimo D'Alema, perla tavola apparsa su Repubblica, in cui il politico sbianchettava la lista Mitrokhin, alzò i pugni chiedendo ben tre miliardi di danni. Disse Forattini: «Con Scalfari litigavamo spesso, però mi lasciava libero. In quell'occasione Ezio Mauro non si pronunciò».

Altra denuncia celebre arrivato da Bettino Craxi disegnato dal Nostro intento a leggere Repubblica, commentando: «Quanto mi piace questo giornale quando c'è Portfolio», un concorso legato al quotidiano, che lo bollava come borseggiatore. Bei tempi. La sua matita si mise poi al lavoro per La Stampa, il Giornale, Il Giorno, La Nazione. Infaticabile. Quindicimila, si diceva. Be', lui la satira la cambiò decisamente. Scusate, mi stavo scordando la Sicilia, a forma di testa di coccodrillo, che piangeva dopo la strage di Capaci. Forse una chiave di lettura potrebbe essere la satira come strumento di lettura della politica: non soltanto commento, ma racconto visivo che legge la realtà. Un'ipotesi. Forattini ammetterà un solo errore: il celebre disegno sulla morte di Raul Gardini. La sua barca diventò il “Morto” di Venezia (era il Moro, ovviamente) che affondò con dentro lo scheletro di Gardini. Dirà in una confessione pubblica: «Avrei voluto chiedergli scusa».

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