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Perché non va sottovalutata la violenza gratuita degli studenti in piazza

È vero che la storia non si ripete mai uguale, ma qualche insegnamento dovrebbe pur darlo a classi dirigenti responsabili. Nei tragici anni ‘70 fu proprio il flirtare coi "rivoluzionari" della sinistra che preparò e accompagnò la nascita, proprio nelle scuole e nelle università, del partito armato
di Corrado Ocone sabato 15 novembre 2025

2' di lettura

Forse non è necessario scomodare Benedetto Croce, che ebbe a dire che l’unico compito che hanno i giovani è quello di diventare il prima possibile grandi, per rendersi conto della insensatezza delle manifestazioni indette ieri dagli studenti in una cinquantina di piazze italiane. Fra i partecipanti al “No Meloni Day”, stando alle dichiarazioni dei loro capi o portavoce, era dato riscontrare un disarmante mix di immaturità, irrazionalismo, conformismo. Oltre a ingiustificabili pulsioni distruttive sfociate in atti di aggressione e violenza gratuite. Già i motivi ufficiali con cui era stata indetta la protesta erano sembrati vacui e inconsistenti: oltre alla riforma della scuola venivano infatti chiamate in causa la questione del clima, presentata coi soliti accenti catastrofisti scientificamente non giustificati, e quella della “causa palestinese”, letta con occhiali ideologici e soprattutto senza considerare minimamente gli ultimi sviluppi della situazione con il processo di pace faticosamente avviato.

Slogan e parole d’ordine hanno confermato poi questa completa mancanza di visione politica, per non dire di confusione mentale (e morale). Più preoccupanti sono però da considerarsi i diffusi atti di violenza e distruzione messi in atto da frange non sempre marginali. E anche questa volta solo la presenza di forze di polizia altamente professionali ha contenuto i danni ed evitato il peggio. Purtroppo, soprattutto a sinistra, questo elemento viene ignorato, sottovalutato, tollerato. E, se non giustificato, certamente “compreso”. Vuoi per semplice irresponsabilità politica (va bene tutto quel che è contro il governo), vuoi per il permanere di una sorta di romanticismo politico che porta a vedere nei giovani solo una presunta voglia di partecipare e impegnarsi. A mio avviso è proprio la retorica della partecipazione che non tiene per almeno due motivi: perché è concetto democratico, più che liberale, che va sicuramente temperato con altre e importanti esigenze; e perché, e soprattutto, c’è partecipazione e partecipazione.

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In sostanza, l’impegno primo degli studenti deve essere quello di studiare e non di stare in modo continuativo in piazza a protestare (gli organizzatori hanno fatto già sapere che sono previste altre due giornate di lotta per gli stessi motivi). Studiare per acquisire strumenti per la vita adulta e quindi anche per partecipare in modo consapevole e con spirito critico alla vita pubblica, che è ciò che veramente rafforza la democrazia. È vero che la storia non si ripete mai uguale, ma qualche insegnamento dovrebbe pur darlo a classi dirigenti responsabili. Nei tragici anni ‘70 fu proprio il flirtare coi “rivoluzionari” della sinistra e di rilevanti fasce di opinione pubblica, che negavano l’evidenza considerando i violenti provocatori o fascisti, che preparò e accompagnò la nascita, proprio nelle scuole e nelle università, del partito armato.

Il Partito Comunista, ad un certo punto, si riscattò, seppure in ritardo, isolando quei “compagni” che però solo Rossana Rossanda ha avuto il coraggio e l’onestà intellettuale di riconoscere come appartenenti ad un comune “album di famiglia”. Ho l’impressione che oggi, per vari motivi, sarebbe difficile, in condizioni analoghe, una reazione altrettanto ferma. E anche questo dovrebbe suscitare in noi il giusto allarme.

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