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Madri che uccidono i figli: le cifre-choc in Italia

Gli ultimi casi a Trieste e nel Salento hanno riacceso l'attenzione su un fenomeno inquietante ma sottovalutato
di Simona Pletto giovedì 25 dicembre 2025

3' di lettura

A distanza di appena sette giorni dall’orrore di Trieste, l’Italia si ritrova davanti allo stesso incubo: una madre che uccide il proprio figlio. Questa volta è successo a Calimera, nel cuore del Salento leccese, dove il corpo senza vita del piccolo Elia Perrone, otto anni, è stato trovato nella sua camera da letto. La madre, Najoua Minniti, 35 anni, giaceva in mare a Torre dell’Orso, recuperata da un sub. Due morti, un solo destino: un gesto disperato che si è portato via una vita innocente e ha riscritto per sempre il dolore di un’intera comunità. La sequenza degli eventi è raggelante. Lunedì pomeriggio Najoua va a prendere Elia a scuola, come sempre. Martedì il padre nonché ex marito della donna, recatosi all’uscita, scopre che il bambino non è mai arrivato. Immediatamente scatta la denuncia ai carabinieri. Poche ore dopo, al largo della marina di Melendugno, un sub vede un corpo affiorare: è la madre. In serata i militari entrano nell’abitazione di Calimera, trovano Elia sul letto, in pigiama. Sul corpo ci sono segni compatibili con strangolamento e ferite da arma da taglio: l’omicidio, dicono gli inquirenti, risale con ogni probabilità alla notte tra lunedì e martedì. La famiglia è distrutta. Nell’abitazione dei nonni paterni stringono il padre in un silenzio carico di lacrime. Dal balcone, il nonno Fernando Perrone lascia uscire lo sfogo che pesa come un macigno: «Fabio lo sapeva. Tutti lo sapevano. Nessuno è intervenuto».

Perché Najoua, raccontano persone vicine alla coppia, da mesi viveva una fragilità emotiva profonda. Aveva già espresso intenti suicidi, aveva lasciato trapelare pensieri bui anche sul figlio. Il padre, preoccupato, aveva sporto denuncia-querela. Ma il tribunale, dopo la separazione avvenuta un anno fa, aveva stabilito l’affido condiviso, con collocazione presso la madre. Un rapporto difficile, quello fra i due ex coniugi, con reciproche denunce ed esposti per presunte violazioni degli obblighi sulla gestione dle piccolo. E pare che lei avesse rivolto a Perrone una frase terribile: «Saluta Elia perché lo porto con me, sei responsabile di ciò che ci succede».

Il confronto con Trieste diventa inevitabile. Lì, solo una settimana fa, una donna ucraina ha ucciso a coltellate il figlio di nove anni. Anche lei seguita dai servizi sociali, anche lì il padre aveva lanciato allarmi. Ma in quel caso il bambino era affidato al padre e gli incontri con la madre erano stati per lungo tempo protetti, poi resi improvvisamente liberi. Peraltro, poche ore prima che l’Italia piangesse Giovanni ed Elia, è arrivata anche una sentenza che ha riportato al centro il tema della fragilità psichica delle madri, attraverso Monia Bortolotti, accusata di aver ucciso i suoi due figli, Alice e Mattia, di 4 e 2 mesi e assolta di recente per totale incapacità di intendere e volere della donna al momento del fatto. A Calimera la madre aveva ottenuto come detto un affido condiviso: nessuno o quasi aveva intercettato a dovere il dissesto emotivo che evidentemente viveva. In effetti i vicini, come spesso in questi casi, la descrivono come una donna apparentemente “normale”. Sui social aveva pubblicato foto luminose con il bambino e parole sulla bellezza del mare, «l’unico luogo che mi trasmette tranquillità». Poi, il baratro.

I casi di Calimera e di Trieste non sono purtroppo isolati. Secondo i dati raccolti dall’associazione “Federico nel Cuore”, dal 2000 a oggi in Italia sono stati registrati 558 figlicidi, quasi uno ogni due settimane. Per il rapporto Eures, si tratta del 12,7% degli omicidi in ambito familiare. Una violenza che colpisce soprattutto per la distribuzione di genere: l’87% di questi delitti è commesso da padri, il 13% da madri. Una minoranza numerica, quest’ultima, che però esplode nell’immaginario collettivo ogni volta che si manifesta, perché infrange l’idea radicata di maternità come luogo sicuro. Tornando a Lecce, ora sarà l’autopsia a svelare altri agghiaccianti particolari sulla dinamica di questa tragedia. Resta una verità che brucia: due bambini uccisi in una settimana, due madri fragili, due padri inascoltati. E soprattutto un sistema che, ancora una volta, non è riuscito a fermare l’irreparabile.

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