Una scena da film dell’orrore, ma girata purtroppo nella realtà. All’alba, sotto una pioggia battente, gli agenti della Polizia locale hanno trovato un 18enne di origini bosniache legato mani e piedi, scalzo, con il volto massacrato di botte ai margini del campo rom di via Salviati, a Roma. A raccontarlo è Il Messaggero. Il ragazzo, sotto choc, è riuscito a fuggire dai sequestratori proprio mentre questi scappavano in auto a tutta velocità. Secondo il suo racconto, era stato segregato in un container, da cui è riuscito a strisciare fuori saltellando fino all’ingresso del campo.
Gli agenti lo hanno liberato dalle fascette in plastica e sono entrati nel modulo abitativo indicato dalla vittima: dentro, ancora sangue sul pavimento, hanno trovato una donna di 62 anni che ha tentato di prendersi tutta la colpa. “È mio nipote, sono stata io”, avrebbe detto. Una versione giudicata subito inverosimile. Il ragazzo ha poi chiarito che quella donna non è la sua vera nonna: sarebbe stato “ceduto” alla coppia quando aveva appena quattro mesi. Una storia di liti, denunce, violenze reciproche.
Poche ore prima, il marito della donna aveva presentato denuncia contro il giovane per lesioni. Il pestaggio potrebbe essere stata una ritorsione. Il 18enne sostiene di essere stato rapito nel sonno dalla casa popolare in cui vive con le sorelle al Tiburtino III, portato nel campo e seviziato. Quando è fuggito aveva i pantaloni abbassati. Chi indaga teme anche abusi sessuali. Ma lui ora tace. Sull’indagine è intervenuto il segretario romano del SULP Marco Milani: “Ancora una volta fronteggiamo scene da film horror. Tra spari, pietre e sequestri siamo sempre più vicino all’ordine pubblico vero. Chiediamo al Governo il riconoscimento dello status di forza di Polizia”. E chiama in causa anche il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. Un caso torbido, pieno di silenzi e paura. E con troppe domande ancora senza risposta.