«L’ultimo rapporto è del 2019. E racconta di 8mila minori prelevati ogni anno dal loro nucleo familiare». Da allora numeri certi non ne abbiamo più. Un buco nero che si allarga a dismisura e di cui nessuno ha contezza perché non è stato più disposto un accertamento. E parliamo di bimbi strappati alle loro famiglie. Prelevati dalla loro quotidianità. Le loro stanze. I loro giochi. Presi e traslocati in case-famiglia che potranno pure essere il paradiso in terra ma non saranno mai il loro vissuto e la loro storia. Tutto questo senza che nessuno possa ordinare un’ispezione se non il ministro della Giustizia. Marina Terragni, Garante dell’infanzia e adolescenza del governo Meloni, riceve segnalazioni quotidiane.
Ma i suoi poteri sono limitati.
«Non posso richiedere gli atti, non posso visionare i procedimenti giudiziari e di conseguenza intervenire nel merito. Dove vedo violati i diritti dei bambini, come quello alla salute, posso solo segnalare il fatto ed esprimere l’auspicio che il minore venga ascoltato sulla base di precise normative nazionali e internazionali. Ho chiesto anche poteri ispettivi e mi auguro che mi vengano concessi».
Un fenomeno importante ma sottotraccia, quello degli allontanamenti.
«Ritengo che oggi i numeri siano in linea o anche superiori agli 8000 registrati nel 2019 su iniziativa dell’allora ministro Bonafede».
La vicenda della famiglia del bosco ha scoperchiato il vaso però.
«L’enorme attenzione mediatica per quella vicenda e la mobilitazione dell’opinione pubblica che ne è seguita- anche forse per un desiderio di molti di tornare a una vita più “naturale” rivelano che siamo di fronte a una questione politica di primissimo piano che chiede di essere capita e fotografata con urgenza. Dobbiamo sapere quanti minori vengono prelevati. Perché vengono prelevati. Quanto tempo rimangono nelle strutture, quante e quali sono queste strutture».
Attualmente la legge cosa dice?
«Il prelevamento dovrebbe costituire una misura eccezionale e temporanea applicabile solo quando l’incolumità del minore sia a rischio comprovato. I tribunali possono disporre l’invio delle forze dell’ordine insieme ai servizi sociali, ma queste si devono limitare a garantire la sicurezza dell’operazione peraltro senza indossare la divisa. Per capirci: se un vicino di casa si ribella, le forze dell’ordine possono riportare la calma ma non hanno facoltà di procedere al prelevamento forzato del bambino. Non si può costringere un minore contro la sua volontà ad allontanarsi dalla famiglia. Una sentenza della II sezione penale del tribunale di Lecce del febbraio 2023, e una precedente della Cassazione civile (2022), stabiliscono proprio che l’uso della forza fisica per sottrarre il minore alla famiglia non è conforme ai principi dello stato di diritto e ribadiscono l’imprescindibilità dell’ascolto del minore».
Nel caso della famiglia del bosco lei si è subito schierata con il ministro Nordio che ha criticato i magistrati, parlando di intervento estremo, “volevano solo vivere pacificamente”, ha detto.
«Per quanto abbiamo letto e riletto, in quell’ordinanza non ho intravisto ragioni sufficienti per portare via tre bambini ai loro genitori. Metterli in una casa famiglia - con la madre che riesce a infilarsi per miracolo nella struttura ma ha la possibilità di vederli solo poche ore al giorno - non è stato ragionevole. Qual è la sua ratio e il suo buon senso?».
Hanno contestato ai genitori di non essere stati dialoganti.
«Magari potevano essere più ragionevoli, cambiare avvocato e capire bene gli atti, perché c’è stato un problema di comprensione. Forse sono anche scostanti e poco malleabili. Ma togliergli tre figli è stato un provvedimento enorme».
Si causa un trauma irreparabile.
«Quando un bimbo viene allontanato dalla famiglia il trauma è evidente. A meno che venga prelevato perché il padre abusa di lui o la madre lo insegue con un’accetta, e in quel caso nessuno potrà obbiettare alcunché perché è una violenza che si infligge al minore per sottrarlo a un trauma superiore. Ci devono essere giustificati motivi. Non si può prendere un ragazzino che si oppone, urla, si sente male, e portarlo via da casa».
Qual è il rischio concreto?
«Che certe misure stiano diventando di routine. Servono i numeri per capire. In un momento in cui cresce il numero delle separazioni conflittuali e i genitori si fanno la guerra sulla pelle dei figli, si rischia il paradosso che siano i bambini a pagare finendo in casa-famiglia. Strutture che possono anche funzionare molto bene, oppure no. Quel che è certo è che non sono il nucleo famigliare».
Le è capitato un caso del genere?
«Mattia, uso un nome di fantasia, figlio di separati. Nella casa-famiglia in cui era stato portato aveva sintomi strani, cefalea e vomito. E da tutti veniva interpretato come un malessere psicosomatico. Poi è stato collocato presso la casa del padre e lì ha continuato a stare male. Fino all’accesso in pronto soccorso dove gli hanno diagnosticato un tumore al cervello al quarto stadio. Ci sono state negligenze nella gestione di questo bambino? Io posso chiedere delucidazioni ma non sono tenuti a rispondermi. Certamente ho espresso l’auspicio che, accertate eventuali negligenze da chi ha l’autorità per farlo, per ragioni di elementare umanità si consenta a questo bimbo di vedere prestola sua mamma».
Per fortuna qualcosa sta cambiando grazie al governo Meloni.
«Il “ddl Affido Roccella-Nordio”, già approvato alla Camera e ora al vaglio della commissione giustizia al Senato, potrebbe essere un passo importante».
Cosa prevede?
«L’istituzione di un osservatorio nazionale e di un registro degli istituti di assistenza, delle comunità, delle famiglie affidatarie. Per avere un quadro che consenta di intervenire adeguatamente. E rafforzare il principio del superiore interesse del minore e del suo diritto a crescere in famiglia».
Senza contare che la pratica degli allontanamenti è piuttosto onerosa per lo Stato.
«Laddove sia accertata una difficoltà del nucleo famigliare, probabilmente costa molto meno alle casse dello Stato un’azione di sostegno e aiuto che mantenere un bambino in una casa famiglia o in una struttura protetta».
Di che cifre parliamo?
«A Roma la retta minima è di circa 120 euro al giorno, ma secondo il coordinamento delle case famiglia ne servirebbero oltre 200».
Che idea si è fatta in questi mesi?
«Ho la sensazione che spesso chi gestisce questi procedimenti non abbia piena contezza di quello che dicono le normative nazionali e internazionali.
Per esempio, è previsto che il minore vada sempre ascoltato dai giudici e che la sua volontà sia rispettata. Quanti lo sanno? Non è possibile sentire dei consulenti tecnici d’ufficio che non conoscono la convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne e i minori che l’Italia ha ratificato».
Serve più formazione?
«Mi pare sia necessaria per tutti gli addetti: forze dell’ordine, assistenti sociali, avvocati. Il mio ufficio si impegnerà per questo. Non sono molti i legali esperti in queste materie. Un avvocato che vede portare via un bimbo deve saper dire “non potete toccarlo a meno che ci sia un Tso disposto dal sindaco”. Qualche mese fa ho ricevuto la dottoressa Barbara Rosina presidente del Cnoas, il Comitato Nazionale Ordine Assistenti Sociali. Lei stessa ha posto il tema di migliorare la loro formazione. Mi sono mossa subito, sono andata dal ministro dell’Università a rappresentare il problema, e dalla presidente della Conferenza dei Rettori».
Come si concluderà la vicenda della famiglia del bosco?
«Ho fiducia che il tribunale troverà una composizione al conflitto. Un punto di attrito sarà il tema della scuola, non tanto l’homeschooling in sé che è previsto dalla legge, quanto il fatto che secondo le perizie i bambini sarebbero privati del rapporto coi coetanei. Ma è certo che la loro relazione con i genitori sia invidiabile. E anche le testimonianze dei vicini li raccontano come fanciulli socievoli e felici».