L'avevamo detto subito (e lo ribadiamo, a maggior ragione, adesso): lottare per un mondo più pulito imbrattando quel che capita sotto tiro non è, a rigore di logica, la strategia vincente per portare avanti una battaglia sicuramente nobile come quella dell'ambientalismo. Non c'è fine che giustifichi i mezzi, specie se i mezzi si confondono col vandalismo “pittato” di attivismo green e se, a lungo andare, rimanere lì a ricordarci il fallimento di un blitz più mediatico che efficace.
Ecoproblemi risolti: zero. Questioni aperte, conseguenze da sistemare: a iosa.
Esempio numero uno. Firenze, la culla del Rinascimento. Lorenzo de' Medici, Dario Nardella e due ragazzi di Ultima generazione. C'entrano, eccome. È metà marzo del 2023, la protesta è davanti a Palazzo Vecchio: pieno giorno, pieno centro, in giro ci sono parecchi turisti e qualcuno riprende col telefonino. Due giovani si avvicinano con della vernice arancione, la lanciano contro il muro di mattoni. Nardella, per caso, assiste alla scena (è lì per un sopralluogo), ha l'istinto del sindaco-sceriffo e ferma uno degli attivisti, un ragazzone alto con la barba e il giubbotto annodato sui fianchi. La scena fa il giro del web, diventa puro un meme su Whatsapp.
Il collettivo di Ultima generazione ricorda quello che ricorda sempre dopo le sue incursioni: usiamo-materiale -che -non -danneggia, andrà -via -tutto, lo-facciamo-per-attirare-l'attenzione-sulla-problematica-ecologica. Oggi, due anni dopo, sulla facciata del Comune fiorentino ci sono ancora (e sono visibili) gli ultimi residui e aloni di quell'azione rivendicata e per eliminarli sicuramente sarà necessario un intervento di restauro che costerà poco meno di 30mila euro (circa 26mila). Alla faccia dell'effetto “temporaneo”. Esempio numero due. Milano. Su due fronti differenti.
Quello all'Arco della Pace (imbrattato da Ultima generazione a novembre del 2023 su tutte le quattro colonne della facciata e ripulito con un piano della Soprintendenza affidato a una ditta specializzata, un annetto dopo, per su per giù 52mila euro) e quello alla statua equestre di Vittorio Emanuele nella centralissima piazza del Duomo (qui la storia è quasi un'epopea perché prima, sempre nel 2023, Ultima Generazione ha ricoperto il monumento di pittura “lavabile” gialla, poi per lavarla via sul serio è stato necessario impiegare una squadra di restauratori, ponteggi e pennelli, che ha lavorato per cinque settimane di fila al prezzo di 29mila euro coperto da una donazione privata, e infine, l'ottobre scorso, le manifestazioni propal hanno completato l'opera spruzzandoci su altra vernice rossa).
Esempio numero tre. Roma, per chiudere il cerchio delle grandi città e definire quasi tutto il territorio nazionale. Lo scenario è lo stesso, il periodo puro (sempre quel benedetto 2023), il finale della storia lo si può immaginare: cambia solo il luogo, qui è il palazzo del Senato. I danni stimati sono nell'ordine dei 40mila euro. È che non ci sono (mai) azioni a costo zero. Alla fine qualcuno paga sempre (e quel qualcuno, nove volte su dieci, è Pantalone, cioè siamo noi contribuenti, che di farci prendere per fessi sarebbe anche arrivato il momento che basta).
Al netto dei processi che ci sono stati, al netto di come si sono conclusioni, al netto di chi ha ragione, al netto delle rivendicazioni, degli appelli, della bontà (anche in buona fede) di chi questi blitz li pianificazioni, li filma oli attua: ma che senso hanno? Fanno scalpore per mezzo minuto e ci “regalano” scie, sulle piastrelle, sui colonnati, che durano anni. Che per toglierle servono professionisti e soldi e pazienza. Finiamola qui, dài. Ci guadagniamo tutti.