«Terminato il Giubileo, all’interno del quale Papa Leone XIV ha iniziato il suo ministero petrino, la prossima fase sarà il Concistoro straordinario, convocato per il 7 e 8 gennaio, e si tornerà al governo collegiale della Chiesa». Fra le righe del discorso pronunciato ieri dal Pontefice, il direttore emerito dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, legge fra le righe «gli indizi, come è stato osservato in queste settimane, di un deciso programma di rinnovamento della Chiesa cattolica».
Da che cosa lo si deduce?
«Alla sua morte, Papa Leone ha preso in mano molto seriamente il Giubileo. Nello stesso tempo ha iniziato a ricevere una quantità davvero notevole di persone – basta scorrere l’impressionante serie delle sue udienze – per prendere, come Pontefice, una conoscenza diretta e dunque molto approfondita di questioni e problemi e per entrare meglio nei meccanismi interni della Chiesa e del suo governo. Si è preparato così a intervenire sul suo funzionamento. In questi mesi non sono trapelate indiscrezioni, ma – per limitarsi a un solo esempio – dalla nomina, in settembre, del suo successore al Dicastero dei Vescovi, il carmelitano napoletano Filippo Iannone, un canonista schivo e stimato del quale non si faceva il nome, è emerso il metodo riflessivo, ma determinato, di Prevost».
Quindi si aspetta che si prosegua su questa linea?
«Al prossimo Concistoro prenderà parte un numero senza precedenti di cardinali, com’è accaduto durante l’ultima sede vacante, quando ne sono venuti a Roma circa 180, e questa assemblea davvero mondiale tornerà a discutere e a essere consultata dal Pontefice come non avveniva più da oltre un decennio. Nei mesi successivi si succederanno poi le nomine che si attendono in posti chiave della Curia romana e nella Chiesa, secondo un calendario che il Papa sta mettendo a punto insieme ai suoi collaboratori per rispondere a esigenze che ha sicuramente ben chiare. Leone XIV ha detto ai vescovi italiani che sarà bene rispettare la norma suggerita dal Concilio Vaticano II dei 75 anni come limite di età per esercitare l’autorità episcopale nelle diocesi e nella Curia romana. Come si è visto nella diocesi di New York, dove le dimissioni del cardinale Timothy Dolan sono state seguite dalla nomina di Ronald Hicks come suo successore. Si tratta di un prelato originario di Chicago, perciò concittadino del Papa, del quale condivide lo stile pastorale. Ma anche la recente nomina di Charles Moth come arcivescovo di Westminster, che è il primate cattolico d’Inghilterra, sembra indicare che il percorso è iniziato».
Gli auguri natalizi del Papa alla Curia romana spesso sono carichi di significato. Richiamano i porporati all’esame di coscienza. Anche in questo caso?
«Il discorso natalizio del Pontefice è tradizionalmente molto importante, e negli ultimi anni, soprattutto per i toni abrasivi che aveva usato Bergoglio, l’attenzione mediatica si è accentuata. Ma fra tutti, il discorso che ieri Leone XIV ha tenuto ai curiali mi ha ricordato quello programmatico di Papa Montini. Nel 1963, il 21 settembre, esattamente tre mesi dopo la sua elezione in Conclave, mentre stava per riaprirsi il Concilio, Paolo VI aveva esortato la Curia a riformare sé stessa, indicandole un dovere di esemplarità di fronte al mondo. Dietro un’apparente tranquillità si possono nascondere tensioni, dice oggi Papa Leone. Che affronta le questioni in generale, senza dare titoli clamorosi ai giornali. Ma quelle di Prevost sono le stesse parole di Montini. Per puntare allo stesso risultato e ottenere una Curia romana più coesa e collaborativa con il Papa».
Risuonano anche accuse piuttosto precise: continuano a prevalere alcune dinamiche legate all’esercizio del potere, alla smania del primeggiare, alla cura dei propri interessi, non cadono “maschere e sotterfugi”. A che cosa si riferiva?
«Il discorso va visto assieme alla lunga lettera apostolica sui sacerdoti, intitolata Una fedeltà che genera il futuro, che il Papa ha fatto pubblicare nel sessantesimo anniversario dei due decreti del Concilio Vaticano II sui sacerdoti, testi di norma poco ricordati. La lettera papale, piuttosto lunga, va dunque a integrare il contenuto del discorso natalizio, già intessuto di richiami al Concilio. Se la lettera viene pubblicata lo stesso giorno del discorso alla Curia non è certo un caso. Come non è un caso che il Papa abbia richiamato la sua prima omelia da Pontefice, pronunciata il giorno dopo l’elezione, davanti ai cardinali: chiunque abbia responsabilità nella Chiesa deve scomparire per far “trasparire Cristo in ogni sua azione”. E il Pontefice lo sta mostrando in prima persona, anche se è ormai inevitabile “l’esposizione mediatica”, perfino sui social. Nel testo non li demonizza: “Tutto mi è lecito. Sì, ma non tutto giova!”, dice citando san Paolo».
C’è anche un invito a non cadere nella tentazione di oscillare fra due estremi opposti: uniformare tutto senza valorizzare le differenze o, al contrario, esasperare le diversità e i punti di vista piuttosto che cercare la comunione. Sono ancora così profonde le divisioni all’interno della Chiesa?
«Prevost è stato eletto in un tempo in cui le divisioni e, anzi, le polarizzazioni nella Chiesa sono molti forti. E il modo di governare di Leone XIV è molto più ispirato alla ricerca del consenso rispetto a quello a cui ci aveva abituati il predecessore. Senza essere contundente, il Papa rivolge di continuo un forte richiamo a tutti. Ma punta ad assicurare la maggiore unità possibile, come Paolo VI ha fatto durante il Concilio, attaccato da destra e da sinistra. E in coerenza con il Vaticano II il Pontefice punta all’esercizio collegiale del potere. Queste mi sembrano essere le caratteristiche chiave del pontificato leoniano. È un Papa che cerca di pacificare i contrasti, senza inasprire le parti contrapposte. Lo mostra anche la prima vera biografia del Papa, il libro di Elise Ann Allen pubblicato in Perù tre mesi fa (Papa Leone XIV. Cittadino del mondo, missionario del secolo XXI, la cui traduzione italiana è prevista nel febbraio 2026, ndr). E soprattutto Prevost non vuole essere lui ad apparire come protagonista».