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Pizzaballa critica Israele: "Si percepisce come unica vittima"

venerdì 19 settembre 2025
3' di lettura

Al festival di Open, l'attenzione si è concentrata sulla guerra a Gaza con la presenza in collegamento da Parma del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, papabile per breve tempo dopo la morte di Papa Francesco. A dirigere i lavori è stato Enrico Mentana, direttore della testata, che ha interrogato il prelato sulle radici profonde del conflitto israelo-palestinese. Pizzaballa ha inquadrato l'attacco del 7 ottobre 2023 come esito di un lungo processo: "Quello che è accaduto il 7 ottobre è frutto di anni di sviluppo, se si può usare questa parola, di evoluzione di un linguaggio e pensiero iniziato molto prima da ambo i lati".

Ha spiegato come "Le polarizzazioni sono esplose ora in maniera evidente ma erano nate e cresciute negli anni precedenti", citando l'assassinio di Yitzhak Rabin nel 1995 – autore degli Accordi di Oslo e Nobel per la Pace nel 1994 – come punto di svolta: "è il frutto anche di questo e il movimenti che ha portato a quell'assassinio poi è cresciuto, si è sviluppato, e adesso sono anche al governo, e così dall'altra parte".Per il cardinale, il nodo centrale è "nell'incapacità" di atti concreti che "costruiscono la fiducia e l'incapacità di sviluppare un linguaggio inclusivo, che vuol dire riconoscere che l'altro esiste", portando al disastro attuale. Realisticamente, ha confessato a Mentana: "sembra che ci sia poco da fare, perché le grandi istituzioni non sembrano seriamente interessati a porre fine a questa situazione: umanamente non vedo che le cose possano cambiare a breve termine".

Anche una cessazione immediata della guerra non risolverebbe tutto: "Non sarà la fine del conflitto e le conseguenze si pagheranno ancora a lungo, sia qui che nella comunità internazionale. Le ferite, la sfiducia, l'odio che hanno creato, resterà per molto tempo".Filosoficamente, Pizzaballa ha spostato lo sguardo sui popoli: "il mondo non va avanti soltanto grazie alle decisioni dei potenti, il mondo si regge anche sulla coscienza dei popoli. Quello che vedo un po' in tutto il mondo è la coscienza di popolo, la società civile in generale è viva". Ha lodato il ruolo della società civile, inclusa quella israeliana: "Gran parte del ceto medio e della società imprenditoriale hanno coscienza di questo, nella zona di Tel Aviv, che però è una bolla". Il resto del Paese, ha precisato su input del sindaco Beppe Sala, "vive una situazione diversa e i voti li dà il resto del Paese. Adesso la società israeliana è divisa su quasi tutto ma rispetto al mondo palestinese c'è una sfiducia di fondo diffusa". In questo frangente, Israele "sta vivendo in una bolla sua. Si è chiusa in una spirale dove si sente l'unica e la sola vittima di tutto quello che sta accadendo e che non permette di avere una visione lucida, chiara e libera, non solo del presente ma anche delle prospettive future". Sullo scenario di pace, Pizzaballa è scettico. La stanchezza diffusa non equivale a un desiderio di riconciliazione: "Questo non significa che chi vuole la fine della guerra voglia la pace per i palestinesi, sono due cose abbastanza diverse". La popolazione israeliana vuole la fine della guerra "perché ci sono troppi morti, anche la situazione economica comincia a farsi sentire, centinaia di migliaia di soldati di riserva che non vanno lavorare. E c'è la paura che possano non tornare, ogni giorno ci sono 4/5 morti anche tra gli israeliani". 

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