Il presidente del Milan Paolo Scaroni assicura che il nuovo stadio di San Siro sarà «il più bello d’Europa e forse del mondo». Anche se le sue previsioni dovessero avverarsi, anche se dalle ceneri del Meazza dovesse sorgere un capolavoro immortale, c’è da aspettarsi che comunque per i prossimi 50 anni saremo perseguitati dai nostalgici, da quelli che «questa partita di là l’avremmo vinta», le lacrimucce per le luci di Vecchioni e tutto questo treno di retorica polverosa. Una retorica che sembra incarnata da Gianni Rivera, leggendario calciatore e politico terribile, che ieri annunciava che «se fossi stato io in Consiglio avrei fermato tutto». La verità è che un nuovo stadio serviva e a parte un manipolo di eco-fanatici e reduci grilliniovvero da mezzo campo largo- tutti i partiti convenivano su questo punto. Certo che questo passaggio fondamentale avviene nel peggior modo possibile, sia dal punto di vista pratico che politico. Anche se dalle reazioni non si direbbe.
Sala esulta, ha raggiunto il suo scopo, che era quello di rimanere a galla nella pozza melmosa in cui è finito dopo lo scoppio del caos dell’urbanistica. Il tutto in attesa di trovare una nuova collocazione a fine mandato. «Nella maggioranza non cambia nulla», ha annunciato. Per i Verdi la verità è esattamente opposta, niente sarà più come prima, perfino tra gli amici personali del primo cittadino della “lista Sala” c’è chi gli ha votato contro. Intanto la Procura di Milano annuncia che i magistrati stanno “monitorando” tutte l’operazione. Nulla di buono all’orizzonte. Da qui a fine mandato, la giunta sostanzialmente si limiterà a ritirare lo stipendio. Certo, stavolta anche a destra c’è poco da ridere, i partiti di governo avrebbero potuto e dovuto gestire la pratica in maniera molto diversa, evitando la plateale spaccatura e trovando un accordo su una logica linea comune. Le posizioni non erano così distanti, l’idea che costruire un nuovo impianto fosse giusto era condivisa dai più, purché si facesse in un modo corretto, a prezzi giusti, possibilmente trovando un sistema per preservare almeno una parte del vecchio Meazza. Molto diversa la situazione a sinistra, dove le idee erano totalmente inconciliabili.
Una partita aperta tra chi voleva accontentare le due squadre - saggiamente - e chi ancora minaccia denunce, ricorsi e noie di ogni genere. Sala ora vagheggia di nuove alleanze a sinistra con Forza Italia a fare da stampella permanente ai ragazzi di Elly. Praticamente fantapolitica, anche se forzisti e leghisti in queste ore si pizzicano a colpi di comunicati stampa ostili, quando invece sarebbe il caso di guardare oltre. L’impressione è che qualcuno, riguardo alle prossime comunali, dia per persa una partita che non lo è affatto. Per Milano non è tardi. Il caso Marche insegna: una campagna elettorale può cambiare tanto. I sondaggi non davano certo otto punti di distacco tra Acquaroli e Ricci, poi una corsa ai confini della realtà della sinistra ha cambiato tutto, tra sbarchi del candidato sulle spiagge in pattino e “treni per Gaza”.
A sinistra domina la tesi di Dario Franceschini: «Per trent’anni siamo stati abituati all’idea che per vincere le elezioni servisse un candidato moderato. Da qui Prodi, Rutelli e altri. Non è più così. Perché è cambiato il sistema, non il centrosinistra. Quando si votava con affluenza alta era decisivo togliere elettori all’avversario e quindi un elettore conquistato nell’area di centro valeva doppio. Oggi, con il crollo dell’affluenza, si vince dando ai tuoi elettori una ragione per non astenersi». Tradotto: il centrosinistra si è ridotto a inseguire l’elettorato peggiore, quello che gira con le bandierine pro-Pal a dare l’assalto alle stazioni. E a Milano niente di tutto ciò ha mai pagato. Serve una campagna lunga, serve un candidato, serve una coalizione organizzata, ma vincere contro questa sinistra è possibile anche a Milano.