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La movida è troppo rumorosa? Il Comune deve risarcire 4700 euro a residente

di Claudia Osmetti domenica 14 dicembre 2025

3' di lettura

Probabilmente parlare di “sentenza che crea un precedente” è improprio. In primo luogo perché il nostro è un sistema di civil law (i pronunciamenti della magistratura non fanno legge, semmai essere citati a esempio in altri contenziosi: in punta di diritto sono due cose molto diverse), ma sopratutto perché qui, di casi passati, pure certificati, ce ne sono tanti e la decisione del tribunale civile di Milano che ha condannato, in questi giorni, il Comune della Madonnina a risarcire per mala-movida, con 4.700 euro a testa, tutti i 34 residenti che avevano fatto causa a Palazzo Marino per danni alla salute dovuti a schiamazzi e rumori e baccani, è solo l'ultima di una lunga lista. Vedi Torino. Vedi Napoli. VediBrescia.

Vedi che d'accordo, non sarà un automatismo della giustizia civile (ti lamenti e scatta il rimborso), però è il segno di un andazzo bello chiaro: per i municipi, il frastuono notturno di ragazzi, turisti o avventori alla bisogna, è un problema. Sonante pura. Quando il chiacchiericcio, la musica alta, le urla e le grida (c'entrano nulla le zuffe o le aggressioni o le risse che, quelle, sono un altro capitolo e per carità, affrontiamo un fenomeno alla volta sennò non ne usciamo più) superano i limiti della tolleranza per chi abita nei paraggi, deve intervenire chi amministra la città.

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«Le sorgenti di rumore», scrivono i giudici milanesi riferendosi a quelle rilevate nel quartiere Lazzaretto-Melzo che hanno attenzionato questa causa, «sono chiaramente riconducibili alla gente che staziona fuori dai locali eo dai dehors e, in via minore, alla musica diffusa proveniente da alcune attività»: epperò, dato che stiamo palando di «strade di cui il Comune è proprietario, non può che gravare» su di lui «l'obbligo di fare cessare» i rumori.

Risultato: il Comune di Beppe Sala, per questa vicende, deve da un lato risarcire i suoi cittadini versando oltre 200mila euro e, dall'altro, deve fare di tutto per contenere il frastuono, quantomeno dalle 22 alle 6 del mattino. Non è solo una questione tecnica (di decibel, i 32 nello specifico dei limiti di tollerabilità), è anche un discorso ampio e complesso: gli interessi in ballo (spesso letteralmente) sono diversi. È un sacrosanto diritto quello dei residenti di riposare per i fatti loro senza essere disturbati dai nottambuli della strada, è profitto per tutti che gli esercenti della zona facciano affari e tengano aperti i loro locali (dovessero chiudere dall'oggi al domani, il prezzo delle case crollerebbe come un castello di sabbia alla prima onda marina).

E infatti Carlo Squeri, che è il segretario milanese di Epam, l'associazione dei pubblici esercizi, spiega: «Le istanze dei residenti sono legittime, ma questo disagio è causato dalla gente che sosta sui marciapiedi, non dai clienti dei locali che siedono ordinati ai tavolini». Forse, alla fine, rimane un fatto di equilibrio. E forse, anzi sicuramente, tocca tenere a mente un altro elemento: chè un conto sono i bilanci di una metropoli come Milano, un altro sono quelli dei paesini della provincia. Se il meccanismo dovesse essere lo stesso, l'impatto non lo è di certo.

Milano qui, tra l'altro, non fa da apripista. Al contrario, si inserisce nel solco di una scia tracciata altrove. Ha iniziato Torino quattro anni fa: ci stavamo scrollando il Covid di dosso, a settembre del 2021, quando la corte d'appello piemontese ha respinto l'istanza di sospensiva di una sentenza che, in primo grado, ha condannato il Comune della Mole a pagare 29 suoi abitanti per mancanza di sonno. «Danno grave e irreparabile», a Palazzo Civico è andata peggio perché l'esborso complessivo richiesto ha superato il milione di euro (si è parlato di 1.171.384 euro, spiccio più spiccio meno). Movida selvaggia, ma anche movida salatissima. A Torino il copione è stato pressoché lo stesso: un pugno di residenti esasperati, che si lamentava da anni, che non riusciva a chiudere l'occhio e un Comune che non ha «assunto le misure necessarie a contenere entro i limiti di legge i rumori notturni».

A Napoli, invece, a gennaio, il tribunale ha condannato il Comune a pagare in tutto circa 230mila euro per indennizzare dieci persone a seguito della violazione di alcuni limiti nelle emissioni acustiche e l'ha invitato ad «adottare le cautele idonee» per rientrare nelle soglie tollerabili «anche mediante l'interdizione dell'uso di strumenti musicali amplificati, di tamburi, bonghi e ogni altra attrezzatura», nonché.

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