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Vittorio Feltri e la vergogna sugli "sbirri": "Le forze dell'ordine muoiono per noi, ecco chi le infanga"

di Giulio Bucchi domenica 3 febbraio 2019

4' di lettura

Ricordo quando uno dei centri sociali di Venezia aprì al pubblico un locale, destinato ai proletari e in realtà frequentato dai fighetti, che aveva questa insegna: «Osteria allo sbirro morto». Fu un successone, quante risate tra i progressisti, che sarà mai, sono ragazzi, è satira. La magistratura non intervenne, figuriamoci. In quella taverna era stanziale il capo dei "disobbedienti", Luca Casarini, il quale era un uomo potente a quei tempi più di un ministro, avendo in pugno il disordine pubblico, che amministrava in Veneto e altrove a suo piacimento. Ad accarezzarne gli umori rivoluzionari tenuti al calduccio dello "sbirro morto", accorrevano perciò politici debitamente scortati da poliziotti, carabinieri e guardie di finanza che dovevano ingoiare e tacere. Leggi anche: Sbirri maledetti eroi, il libro in edicola con Libero Dopo numerosi anni la trattoria mutò il nome, senza che Casarini rinnegasse o tanto meno si pentisse di quella dedica da obitorio, ma l' idea dello sbirro morto continua a essere un augurio esplicitato in piazza da minoranze dotate di molotov, sbarre di ferro e sampietrini. In realtà questo auspicio impregna tuttora la mentalità delle élite di questo povero Paese, la cui crème ha deciso che un agente ferito o percosso non deve esistere. E infatti questo tipo di azioni non diventano quasi mai notizie. Questo libro di Stefano Piazza e Federica Bosco elimina tale censura con una documentazione formidabile. Lo fa senza neppure un briciolo di retorica da parata celebrativa, ma con la sostanza delle cose. Le aggressioni subite da agenti di ps e militari, specialmente da stranieri, sono all' ordine del giorno, anzi di ogni ora di mattino, pomeriggio e notte: negli ultimi anni sono stati 60.000 (sessantamila!) i carabinieri e i poliziotti bersaglio di violenza. Sono numeri ma sono persone, con affetti, ideali, guai: in più, rispetto a noialtri prendono colpi perché ci fanno da scudo. Invece a leggere i giornali sarebbero loro a minacciare gli inermi! Si guardi a come è stato usato il caso Cucchi, una vicenda tremenda che non sarò certo io a edulcorare. A processo neppure giunto al primo grado di giudizio, non solo sono stati giudicati e condannati alcuni carabinieri, ma si è tranquillamente sparso letame trattando la Benemerita come una mafia dove vale la regola dell' omertà. Da valorosi cronisti, Piazza e Bosco hanno spazzato via questa infamia, semplicemente impugnando la realtà nuda e cruda. Bravi. Lo stipendio - Di discorsi altisonanti ne abbiamo piene le scatole. Così come delle frasi di circostanza quando si tratta di appuntare una medaglia d' oro alla memoria sul paltò di una vedova. Occorre che ai nostri difensori sia data la dignità dovuta, la quale si misura anche con lo stipendio e gli strumenti di lavoro in dotazione. Non c' è nulla da fare: se ti pago poco, vuol dire che ti stimo poco, e ritengo il tuo impegno miserabile come il salario. Se invece di fornirti attrezzature d' avanguardia (armi e non solo), ti infilo giubbotti antiproiettili che lungi dal proteggere dal piombo non fermerebbero neanche una graffatrice da ufficio, significa che ti considero carne da macello. In senso fisico e oggi specialmente morale. Il modo contemporaneo di attaccare le forze dell' ordine è quello di rovinarne la reputazione, generando nel pubblico l' idea che in un contenzioso tra il delinquente e il poliziotto il torto sia pregiudizialmente dalla parte dell' uomo o donna in divisa. Ovvio. Quando si tratta di parlare in generale, tutti ammettono che i buoni sono le pattuglie delle volanti e i cattivi quelli delle mafie. Ma se un facinoroso alza il dito dopo l' arresto e, invece di ringraziare di non essere stato steso come capita in America, indica una tumefazione, ecco che si scatena la caccia al maresciallo o all' appuntato per cui vale sempre la presunzione di colpevolezza. Sono politici e intellettuali a ripetere costantemente il copione. Succede un episodio minimo, che coinvolge in un reato un agente o un ufficiale? La regola costante è questa: si premette un elogio altisonante 141 all' Arma dei carabinieri, alla polizia di Stato, alla guardia di Finanza o alla Polizia Penitenziaria, dopo di che la (presunta) mela bacata diventa pretesto per spargere fiducia su tutti i servitori dello Stato, creando leggi fatte apposta per diffondere la convinzione che costoro siano pericolosi cani rognosi da tenere al guinzaglio. Questa è la logica con cui il Parlamento ha approvato la legge sulla tortura. Essa non è fatta per punire comportamenti ignobili, come sostiene la propaganda progressista, ma per torturare con la minaccia della calunnia i guardiani della nostra sicurezza. L' ha voluta la sinistra sulla base di inviti dell' Europa e dell' Onu, dovrebbe impedire la sopraffazione dei deboli, nobile scopo, da sottoscrivere; ma, per come è stata concepita e scritta - lo dimostrano Piazza e Bosco -, è in realtà un' arma in mano non ai vessati ma ai delinquenti impenitenti: li facilita nell' architettare accuse fantasiose contro brigadieri e ispettori, specie della polizia Penitenziaria, grazie alla pratica dell' autolesionismo. Mi sbatto la testa contro il muro, dopo di che accuso l' agente: secondo voi, a chi crederanno giornalisti e pm? L' esperienza ce lo insegna. C' è un fatto importante però che sta accadendo. L' opinione pubblica, che sarebbe la gente comune, almeno nella mia accezione, è molto meno propensa di un tempo a bersi le balle sulle violenze della polizia e dei carabinieri. Basti osservare il gradimento che queste istituzioni hanno nel popolo, paragonandolo a quello di politici, magistrati e giornalisti. E questo volume fornisce all' istinto delle brave persone le basi scientifiche di questa fiducia. Insomma: che i buoni e gli eroi stiano dentro la divisa è un fatto. E chiamiamoli pure sbirri. Etimologicamente vuol dire "vestiti di rosso", in fondo è il colore del loro stesso sangue. di Vittorio Feltri

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